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Mancini: “DiFra ha coraggio, la Roma può incidere sulla competitività della Nazionale”

IL MESSAGGERO – Più di venti anni di Roma, giocatore e allenatore della Lazio prima, ct della Nazionale oggi. «Una città cambiata, sicuramente peggiorata rispetto a quando sono arrivato. Ma resta la migliore del mondo». Roberto Mancini, con l'orgoglio di aver vinto qui e di non essere mai stato detestato dai rivali, in questo caso i romanisti. «Mi hanno sempre rispettato, io problemi non ne ho mai avuti. Ero amico di Giannini. E di Nela. Anche con Totti ho sempre avuto un ottimo rapporto». E pensare che anni prima che arrivasse alla Lazio, lo voleva Viola alla Roma. «E' vero, mi aveva chiamato, poi non se ne fece nulla». Quando poi decise di lasciare la Sampdoria e soprattutto Quarto, non ha mai avuto dubbi su quale piazza scegliere. Fu proposto prima a Sensi che a Cragnotti. Da quell'esperienza in biancoceleste ha scelto definitivamente la Capitale, Ora anche il suo secondogenito è qui: Andrea, di rientro dagli States, sta per essere tesserato dall'Atletico Vescovio per giocare in Eccellenza (girone A). Il derby è la partita del Mancio, anche per questi motivi. «Chi sta meglio, sabato rischia di più. È sempre così». 

Guarda la Roma, da qualche tempo, con un occhio particolare?. 
«E' la squadra con più italiani. Il mio ruolo di ct della Nazionale me lo impone».

Italiani bravi, a quanto pare. Nell'ultimo stage ne ha chiamati addirittura cinque: Florenzi, Pellegrini, Cristante, El Shaarawy e Zaniolo. Sono pronti per il suo calcio, tecnico e propositivo, con cui affronterà le qualificazioni per Euro 2020 che partiranno tra meno di un mese? 
«E' stato fatto un ottimo lavoro. Di Francesco ha avuto il coraggio di puntare sui ragazzi, è uno che non ha paura di lanciare i giovani. Sono con me pure altri che lui ha svezzato al Sassuolo: Sensi e Berardi. Anch'io sono così: è bello poter dire, quello ha cominciato con me. Mi viene subito in mente Balotelli: sono già passati undici anni da quando decisi di farlo esordire nell'Inter. Mario era appena diciassettenne».

Su Zaniolo, Mancini ha battuto allo sprint Di Francesco. Come si è fatto convincere dal diciannovenne che, quando lo ha chiamato in azzurro, non aveva ancora debuttato con la Roma?
«Io sono ct da maggio. E che ho fatto? Mi sono andato subito a vedere l'Euro Under 19. È lì che ho avuto la possibilità di seguire Nicolò, prima non lo conoscevo affatto. E in quel torneo ne ho visti anche altri, a cominciare da Tonali che mi è sembrato giocatore di prospettiva. Essere titolare, anche in B, lo può portare a fare subito il grande salto. Cioè a entrare, o magari pure a giocare, in una big del nostro campionato. Piano piano in Nazionale sono saliti pure quei ragazzi dell'Under 19 in Nazionale. Bravo pure Kean, di quel gruppo».

Quanto è cresciuto Zaniolo in questi mesi?
«Anche troppo, almeno mediaticamente. In questa città ci vuole poco a passare dall'esaltazione alla bocciatura, quando invece con i giovani bisogna avere pazienza, perché gli alti e bassi sono normali».

Definendolo Pogba pensa di avergli fatto un favore?.
«Io mi riferivo solo al ruolo e al suo percorso. Pogba arrivò alla Juve molto giovane, all'inizio non giocava. Guardava. E imparava. Proprio quello che è successo, in partenza, a Nicolò. Che, come Pogba, fa gol. E che, come Pogba, usa la sua fisicità e che, come Pogba, si trova a suo agio soprattutto da mezzala. Per me Zaniolo è una mezzala. In quella posizione mi è piaciuto all'Europeo».

Con Di Francesco ha fatto pure il trequartista, il falso nove e l'esterno alto.
«A diciannove anni, pur di giocare, accetti qualsiasi ruolo. Intanto aumenti il minutaggio e in un grande club».

Zaniolo al posto di Verratti o di Barella?
«Oggi ho Jorginho e Verratti come riferimenti per il centrocampo. A loro poi posso aggiungere Zaniolo o Barella. Per ora. E comunque ho anche gli altri: Cristante, Pellegrini, Gagliardini e soprattutto Sensi che mi ha impressionato per come si è inserito nel gruppo e per la personalità che ha mostrato al debutto».

Ha richiamato Sensi per lo stage di inizio febbraio. Promosso?
«È titolare in serie A. Ed è tra i pochi che può fare tranquillamente il regista come la mezzala. Mi va bene così, anche la sua statura. Vedrete che, facendo esperienza in azzurro e quindi in campo internazionale, il fisico non lo limiterà. Ha qualità e intelligenza».

Come ha fatto, invece, a rendere Verratti così indispensabile?
«Si è trovata l'alchimia tra i tre centrocampisti. Una botta di fortuna mia, non ho meriti particolari. Verratti, tra l'altro, ha risolto qualche problema fisico che lo ha penalizzato nelle ultime stagioni. Ora è sempre dentro la partita».

E Jorginho?
«Jorginho è forte e basta. Difficile che sbagli una palla. Paga il momento critico del Chelsea, ma me lo tengo stretto. È al primo anno in Inghilterra, vedrete che la Premier lo farà migliorare. E se lo godrà la Nazionale».

L'Italia ha molti giocatori interessanti, forse per questo ha accettato l'incarico di ct?
«L'ho accettato perché me lo hanno chiesto, prima non era mai accaduto. All'Italia non si dice no. E comunque, ad essere precisi, sono arrivato nel momento peggiore, visto quello che è successo con la mancata qualificazione al Mondiale»

C'è chi sostiene che invece sia sbarcato a Coverciano nel periodo migliore. Difficile fare peggio di quanto è successo nel playoff contro la Svezia nel novembre 2017?
«Messa così, ci può stare. Poi, però, a chi guida la Nazionale viene chiesto di vincere e basta. Non conta chi alleni, è così, lo impone la nostra tradizione. Perché l'Italia è l'Italia. Ed è come allenare il Brasile, la Germania, la Spagna o l'Argentina. Non esistono le amichevoli… In ogni match ti chiedono il successo».

De Rossi ha ancora chance di tornare in Nazionale?
«E' un capitolo chiuso. Gli ho parlato subito e lui è stato chiaro e sincero. Mi disse che, se ne avessi avuto bisogno, sarebbe venuto a darmi una mano».

Fece prima, da allenatore del City, a convincerlo ad accettare il trasferimento a Manchester?
«Infatti non l'ho mica convinto».

C'era riuscito però.
«Ci siamo visti a Roma, tutta una notte a parlare, era tutto fatto, ma è saltata all'ultimo. Mi ha chiamato e mi ha detto 'non je la faccio'. Ci rimasi male, mi arrabbiai. E' passato tanto tempo, Daniele era nel pieno della carriera, si sarebbe divertito. Lo ritenevo fondamentale».

Tornando alla sua Nazionale. Di Francesco, nella formazione di partenza contro il Porto, ha schierato sette italiani. Un bel risultato.
«Sì, soprattutto se consideriamo che una presenza in Europa ha più peso. I ragazzi crescono prima. E io ne sono felice. Non c'è di meglio, per fare esperienza, della Champions. Ecco perché la Roma, in questo senso, può incidere sulla competitività della Nazionale».

Tornando a Tonali, sarà uno dei prossimi a vestire l'azzurro con continuità?
«E' un ragazzo del 2000, gioca in serie B: vi sembra normale? Ai miei tempi uno di quell'età, con quel talento, giocava in A. Penso a Totti: 17 anni, sei titolare della Roma. In Italia è tutto più difficile, non ci sono tanti calciatori italiani bravi, chi ce li ha se li tiene e quindi i club vanno a cercare all'estero. Poi, uno come Tonali ora vale un sacco di saldi e chi lo prende deve pensare alla spesa che verrà ammortizzata nel futuro».

Perché Immobile in Nazionale non rende come nella Lazio?
«Succede. Un po' il peso della maglia, un po' perché pensi di dover fare tutto in poche occasioni. Non è facile quando hai solo una partita per farti vedere. Con il club, se non segni una volta, ci riesci quella dopo».

Il suo attacco fa spesso cilecca. All'Italia manca il finalizzatore?.
«Pochi gol, è vero. Dobbiamo svegliarci. Bisogna essere più precisi. Siamo la squadra che crea più di tutte e segna meno. Serve l'addestramento. In Nazionale non hanno tempo, nei club dovrebbero trovarlo».

Balotelli può essere una soluzione?
«Ora si sta riprendendo, vediamo se continua così. E' un giocatore che ha talento, vede la porta, sa giocare al calcio. Poi queste qualità vanno messe in evidenza e non dipende certo da me. E non è un più un ragazzino».

Discorso da ripetere per El Shaarawy?
«Un altro giocatore che mi piace. Che ha grandi qualità, lo seguo da quando era alla Primavera del Genoa. Ma pure lui, deve tirare fuori tutto quello che ha dentro».

Meno male che Chiesa, nel nuovo anno, ha ripreso a far centro.
«Si e con continuità. Mai avuto dubbi. E nemmeno sugli altri. Le occasioni le abbiamo sempre create, ma non siamo concreti. La mia generazione, davanti alla porta, era cinica e spietata…».

La corsa Champions, si aspettava di più da Roma e Lazio?
«La Lazio ha fatto quello che doveva, la Roma ha lasciato punti per strada, almeno otto».

Li ha buttati per i troppi giovani impiegati?
«Ne ha persi di più quando giocavano i vecchi».

Le milanesi sono in vantaggio per la corsa alla Champions?
«Per ora sì, ma la Roma e la Lazio non sono fuori. Il campionato è ancora lungo, mancano 13 partite: i due posti se li giocano almeno cinque squadre».

Si aspettava Simone Inzaghi allenatore?
«No, anche perché non glielo avevo mai sentito ipotizzare quando siamo stati insieme nella Lazio. Ha iniziato con i giovani, partendo subito bene. E proprio i ragazzi allenati da lui mi dicevano quanto fosse bravo. Ed è vero, ha fatto un ottimo lavoro. In Italia e anche in Europa».

E Di Francesco?
«Ha fatto bene ovunque, specie con il Sassuolo. Lavora bene con i giovani, ha coraggio. Poi per giudicare bene bisogna vederli allenare».

La sorpresa è Gattuso.
«Si pone bene, ha carattere. Un personaggio positivo».

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Benedette plusvalenze: il miglior acquisto è un ds

LA REPUBBLICA (M.Pinci) – Nel calcio dei 750 milioni di plusvalenze, anche chi è in grado di produrne ha un valore. Per questo, all’ombra del calciomercato che smuove per la Serie A quasi un miliardo e mezzo l’anno, si agita un mercato parallelo: quello dei direttori sportivi. Ogni anno la figura assume un rilievo più consistente. L’acquisto di Cristiano Ronaldo ha fatto diventare una star il ds juventino Fabio Paratici, che ha potuto sgravarsi del peso di fare il lavoro sporco per Marotta. E poi Monchi, Sabatini, Giuntoli, Ausilio: nomi che nell’immaginario collettivo fanno lo stesso effetto di quelli di chi scende in campo la domenica. Il tifoso ne conosce il curriculum, l’efficacia, ricorda i campioni che hanno acquistato e li valuta per quelli. Mentre i club sanno che ogni nome può diventare una risorsa indispensabile per il bilancio attraverso la capacità di chiudere cessioni milionarie. Una strategia che la Roma ha scelto di perseguire affidandosi a Ramon Rodriguez Verdejo, per tutti Monchi, il guru del mercato spagnolo e artefice dell’imbattibile Siviglia europeo. Dopo solo due anni però il suo percorso romano pare arrivato al termine: per l’Arsenal è un’idea molto concreta, lì ritroverebbe anche l’amico Unai Emery, allenatore degli ultimi successi andalusi e che oggi non nega affatto l’ipotesi di ritrovarlo: «È una questione che riguarda la società, che lavora per migliorare nel presente e nel futuro». Ovviamente a Trigoria sono consapevoli del rischio di perdere l’uomo venuto per coniugare trofei e plusvalenze e iniziano a valutare alternative, senza dare troppo nell’occhio: una soluzione interna promuoverebbe il vice Ricky Massara, con il sostegno nientemeno che di Francesco Totti. L’ex capitano sta già studiando da ds, è il referente del club nello spogliatoio e ha un ruolo crescente al punto da aver iniziato a gestire i contratti di alcuni Primavera. La voce che la Roma cambierà direttore sportivo però corre veloce in ogni stanza in cui si parli di mercato. E per questo ha prodotto molti candidati: l’ex milanista Mirabelli, defenestrato da Elliott ma rivalutato dalle prestazioni dei “suoi” acquisti, da Musacchio a Rodriguez, da Kessié a Çalhanolgu. E ha ricevuto proposte da Premier e Bundesliga. Una voce ricorrente vorrebbe il ds del Napoli Cristiano Giuntoli in primissima fila: a chi in fondo non piacerebbe confrontarsi con una realtà come quella giallorossa, dove ogni anno la sfida è vendere qualche stella per cifre record e trovare un degno sostituto che non lo faccia rimpiangere. E poi la possibilità di lavorare per un presidente lontano, soprattutto per chi fino a oggi ha vissuto sotto l’ombra ingombrante di De Laurentiis. A Giuntoli – che però non ha mai detto di voler lasciare Napoli – ha pensato pure il neo interista Marotta. C’è persino chi racconta di un incontro informale tra i due per parlarne: una possibilità, più concreta forse quando i venti del cambiamento parevano soffiare sull’Inter e il ds Piero Ausilio finiva ripetutamente per ricevere le attenzioni di altri club. A partire dalla Sampdoria, interessatissima a lui, visto che dovrà cambiare direzione sportiva. L’uomo mercato Walter Sabatini, profeta del sistema di scouting finalizzato alla plusvalenza (Kolarov e Lichtsteiner alla Lazio, Pastore al Palermo, Marquinhos, Lamela, Pjanic, Alisson alla Roma) potrebbe in effetti firmare per il Bologna, almeno se i rossoblù restassero in Serie A, seguito pure dal dirigente Carlo Osti: il proprietario Joey Saputo pretende una svolta tecnica e l’ad Fenucci sta riannodando i vecchi legami romanisti. Esistesse un borsino della categoria, tra i titoli in crescita comparirebbe di certo Daniele Faggiano, che dopo aver portato Gervinho al Parma ambisce a un salto di qualità. Anche per lui si è parlato dell’Inter. Sempre che Paratici non decida di iniziare a dedicarsi solo agli affari più importanti della Juve, delegando qualcosa a un braccio destro affidabile. Quello che faceva Marotta con lui: prima che diventasse una star.

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Derby, Manolas prova. Juan Jesus sfida Marcano

IL TEMPO (A.Austini) – Sarà una giornata cruciale per la formazione della Roma nel derby. L’anti-vigilia a Trigoria servirà soprattutto a sciogliere le riserve su Manolas. Il greco ieri ha svolto lavoro individuale sul campo, con lo scarpino «lento» per non sollecitare troppo la caviglia colpita da Molinaro a Frosinone e oggi proverà a forzare. Sta meglio ma non benissimo, i segni dell'infortunio sono ancora visibili, un po’ di dolore ancora c’è e se le prossime due partite dei giallorossi non fossero così importanti (c’è il Porto dopo la Lazio), probabilmente Manolas si prenderebbe più tempo per recuperare. Dovesse farcela, come Di Francesco spera, il suo partner in difesa potrebbe essere un mancino: la seconda esclusione consecutiva di Fazio dall’undici titolare è una possibilità concreta, al momento nella testa del tecnico ci sono in ballottaggio Juan Jesus e Marcano, con l'argentino che si tiene invece pronto a sostituire Manolas in caso di forfait del greco. Se a sinistra Kolarov è una certezza, sull’altro lato in difesa dovrebbe rientrare Florenzi dal 1’ anche se Karsdorp ha fatto gli ultimi allenamenti in gruppo e si candida. Più per la Champions che nel derby. A centrocampo De Rossi sarà il perno, Cristante e Pellegrini sono favoriti su Nzonzi per giocargli vicino, quale che sia il modulo. Zaniolo serve invece in attacco a destra, per completare il tridente con Dzeko ed El Shaarawy. Ma in panchina l'allenatore avrà nuove cartucce da utilizzare in corso d’opera: Perotti e Kluivert sono pronti, in teoria potrebbe farcela anche Schick, vicino al recupero completo. Resta fuori invece Under, in dubbio anche per Oporto.

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Roma, parla Pallotta: “Ho sbagliato, ma questo club mi emoziona ancora. Ora lo stadio per vincere”

In una lunga intervista sul sito ufficiale del club giallorosso, il presidente James Pallotta torna a parlare della Roma, degli obiettivi raggiunti e da raggiungere. Ecco l'intervento:

Jim, dopo sei anni da presidente dell’AS Roma, ti senti di aver raggiunto quanto ti aspettavi?
"Per alcuni versi sì, per altri no. Avevo i capelli, ora li ho persi quasi tutti. Quando siamo subentrati come proprietà, avevamo l’obiettivo di valorizzare l’immagine della Roma e della sua storia per costruire un marchio globale che potesse aiutarci ad avere successo sul campo. Se guardo indietro a questi primi sei anni, alzo le mani e ammetto di aver commesso degli errori, ma penso che in alcune aree siamo riusciti anche a superare le aspettative. Credo che dal punto di vista calcistico, centrare quasi costantemente l’accesso alla Champions League, senza gli introiti provenienti da uno stadio di proprietà, ci abbia aiutato a rendere la Roma un marchio globale sostenibile. Per quanto riguarda gli aspetti di business, siamo finalmente riusciti a mettere su un buon team. Una delle cose più difficili per me è stata la carenza di talenti imprenditoriali nel calcio europeo e la ricerca di persone di livello. Ho toccato con mano che può essere difficile trovare persone provenienti dall'estero disponibili a lavorare direttamente dall’Italia, dove il cerchio per individuare qualcuno è inevitabilmente più stretto. E credo che da questo punto di vista ora abbiamo finalmente messo su una grande squadra. Per esempio, parlando in termini di social media e di quello che abbiamo fatto con Roma Studio è stato qualcosa di unico”.

Qual è la cosa che ti ha demoralizzato di più?
"Ovviamente i ritardi nel progetto stadio ci hanno riportato indietro di due o tre anni. Pensavamo che oggi ci saremmo trovati molto più vicini all’apertura e tutto ciò ci avrebbe aiutato a generare entrate di gran lunga maggiori, per poter competere costantemente con i più grandi Club di Europa. Nel merchandising non siamo stati in grado di andare nella direzione che avremmo voluto intraprendere, ma le cose stanno cambiando. Il ticketing in passato non è stato gestito al meglio, ma ora finalmente stiamo andando nella direzione giusta. A livello commerciale ci è voluto un po’ per accelerare rispetto al punto di partenza e negli ultimi due anni siamo andati decisamente meglio. Ritengo che l'anno scorso sia stato grandioso, perché abbiamo stretto delle grandi partnership globali, ma abbiamo bisogno di aumentare ulteriormente le entrate per poter competere regolarmente sul campo. Questo è un dato di fatto. A volte in passato mi sono un po’ demoralizzato quando percepivo che qualche persona nell’area business non avvertiva la stessa urgenza di raggiungere i più alti livelli a cui sono abituato e che mi piacerebbe vedere. Quindi, per rispondere alla domanda, c'è stato mix di aspetti positivi e demoralizzanti. Chiunque mi conosce, sa che non mi ritengo mai totalmente soddisfatto, ma penso che stiamo cercando di mettere in piedi un marchio globale e credo che in generale la Roma goda di molto più rispetto a livello internazionale nel mondo del calcio rispetto a sei anni fa”.

Il progetto Roma ti emoziona ancora?
"Sì. Onestamente, gli ultimi sei o sette mesi sono stati difficili, a causa dei ritardi nello stadio, ma ora stiamo facendo nuovamente progressi. E non è un segreto che sono stato deluso da alcuni risultati in questa stagione. Come ho detto prima, dobbiamo migliorare, perché abbiamo alzato l’asticella dei nostri obiettivi sapendo che possiamo raggiungerli. Se riusciamo a sistemare certe cose, vedrete il mio entusiasmo salire alle stelle".

Se tutti gli aspetti negativi ti rendono così nervoso, perché continui per la tua strada? È una questione di soldi?
"L'aspetto economico non è la mia forza trainante con la Roma. A volte sono depresso e frustrato perché odio perdere. Più di ogni altra cosa. In me c’è una natura competitiva. So che alcune squadre hanno a disposizione un budget due o tre volte più grande del nostro, ma non riuscire a competere sempre e a certi livelli mi disturba comunque”.

Quando sei diventato Presidente hai detto che la Roma sarebbe entrata tra i Top 10 club. Dopo tutta questa esperienza, pensi ancora che sia possibile?
"È possibile, ma non possiamo diventare un top 10 Club senza uno stadio. Possiamo vivere grandi anni, come la scorsa stagione, e passare periodi in cui andiamo fino in fondo in Champions League, ma voglio arrivare a essere tra i top 10 e non parlo solo in termini di fatturato, ma di tutto: mi riferisco al campo, alla percezione che c’è di noi, ai media, ai social, a tutte queste cose. E per riuscirci abbiamo bisogno di più entrate: per questo dico che lo stadio è il punto di svolta. Se si pensa che io sia più ossessionato dallo stadio rispetto alla squadra, semplicemente è perché non passa il mio messaggio: è proprio perché sono ossessionato dalla squadra che ho questa determinazione a costruire lo stadio, per mettere su un gruppo in grado di competere stabilmente a parità di condizioni con certi avversari".

A che livello posizioneresti il Club adesso?
"Penso che negli ultimi anni, guardandoli complessivamente, il nostro sia un Club da top 20. A livello calcistico, direi che in questo gruppo ci sono probabilmente due o tre squadre in Spagna, una o due squadre in Francia, due squadre in Germania, sette in tutto. In Inghilterra ce ne sono altre sei e siamo a tredici, alle quali possiamo aggiungerne forse cinque italiane. Guardandola in questo modo, direi che sul campo siamo certamente tra le migliori 20. In alcune aree fuori dal campo, penso che siamo tra i primi 10 club".

Hai mai pensato di andartene?
"No, mai. Faccio 61 anni fra due settimane e questo progetto mi esalta ancora. Quando forse ne avrò 75 non starò più qui a guidare questo Club, ma questo non è un progetto a breve termine per me".

Credi di essere frainteso?
“Non penso. Parlo con molti tifosi e so che capiscono cosa stiamo cercando di fare. Parlo anche con tanti che non sono nostri fan e mi dicono "anche se non mi piace il tuo Club, stai facendo un ottimo lavoro per il calcio italiano: ne abbiamo bisogno". Ci sarà sempre qualcuno che sosterrà come siamo interessati solo a vendere i giocatori per fare soldi e io mi dico “Davvero? Non mi è entrato un centesimo in tasca dai trasferimenti”.

Quando vedi gli striscioni che ti intimano di andare a casa o quando senti dei cori contro di te, ti dispiace?
"Sono onesto, una volta mi faceva male. Non voglio dire bugie, all’inizio non lo accettavo. Ma ora non me ne frega niente, perché so che il lavoro su cui ci impegniamo da tanto è solo per il bene del Club. Quando perdiamo sbagliamo tutti, ma questo accade da molto prima di me: anche gli altri presidenti della Roma sono stati criticati. Quando me ne andrò qualcun altro verrà criticato allo stesso modo, ma per ora preferirei che la gente criticasse me e sostenesse i giocatori. Dite quello che volete su di me, ma supportate i calciatori. Sono nello sport da molto tempo e non ho mai sentito un atleta dire che è stato veramente motivato ​​dagli insulti e dal livore dei propri tifosi”.

Dove speri di vedere questo Club tra cinque anni?
"Beh, tra cinque anni la Roma deve giocare nel nuovo stadio. Mi piacerebbe vedere una grande squadra sul campo, competere per i trofei, davanti a dei tifosi entusiasti a Roma e in tutto il mondo e un management solido in tutte le aree”.

Un domani lascerai il Club. Quando accadrà come ti piacerebbe essere ricordato?
"Voglio che le persone sappiano che ho fatto tutto ciò che potevo fare per la Roma. Cosa faccio, ti rispondo dicendo “eh sì, vorrei avere quattro Champions League in bacheca”? E certo che lo vorrei, ma devo anche essere realista. Il Leicester ha dimostrato che le cose incredibili possono accadere anche nel calcio, ma quando vedo che ci impegniamo sul campo, provando a vincere qualcosa, e che fuori dal campo stiamo facendo cose davvero di alto livello, allora penso che sia effettivamente qualcosa di cui poter andar fiero. In un certo senso, nulla mi rende più felice quando vedo la Roma fare delle buone cose che dimostrano quanto ci teniamo, che abbiamo un cuore, che siamo ambasciatori di questo grande Club e di questa grande città. Quando ho visto il video di Michela, la nostra tifosa non vedente che assieme alla sorella incontrava i propri beniamini, in cui si vedeva la passione con cui il nostro Club si è preso cura di lei…mi sono sentito davvero orgoglioso. Quando su Twitter leggo certe frasi, non solo dai nostri fan ma anche da quelli di altre squadre, che dicono “che grande Società!”, ne vado davvero fiero. Queste cose mi rendono davvero felice e compensano alcune delle stupidaggini che capitano. Io tengo a tutti noi, stiamo cercando di fare il meglio possibile. Mi interessa l’atteggiamento dei calciatori e del nostro staff. Non voglio mai che nessuno pensi che la Roma sia una società organizzata male. Alla fine, quando andrò via, vorrei che la percezione fosse questa: che avevamo una grande squadra che indossava i colori della Roma con orgoglio e ha combattuto sul campo per i tifosi e per la città e che siamo stati una società di prima classe. Voglio che le persone sappiano che abbiamo fatto le cose nel modo giusto, gareggiando e cercando di vincere. La percezione deve essere questa, altrimenti significherebbe aver fallito".

In ultimo, nel fine settimana c’è una piccola questione come quella del Derby.
"Abbiamo delle grandi partite sabato e mercoledì. È per questo che giochiamo a calcio. Queste sono partite che si attendono con ansia: in cui c’è una gran posta in palio. Non chiedermi un pronostico, ma se giochiamo come so che possiamo fare, siamo in grado di ottenere i risultati di cui abbiamo bisogno ".

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El Shaarawy: “L’umiltà è la qualità principale per diventare grandi. Mi ispiro a Kakà”

Stephan El Shaarawy ha presentato le nuove scarpe da gioco griffate Nike. All'interno dello Store dove si è svolto l'evento, il Faraone ha risposto alle domande dei tifosi presenti. Queste le sue parole: 

"Credo che essere umili è la qualità più grande per andare avanti. Arrivare è difficile, ma rimanere in alto lo è di più"

"Ho sempre stimato Kakà, è da sempre il mio idolo. Una persona buona, di cuore. Un grande esempio, mi ispiro a lui da sempre come calciatore e come uomo"

"Gli inizi? Ho cominciato all'età di 4 o 5 anni in una squadra della mia città, Savona. Poi dopo 6 anni mi ha chiamato il Genoa e ho fatto tutta la trafila delle giovanili con l'esordio in A"

"Mi chiamano il Faraone per le mie origini, mio padre è nato in Egitto. La prima volta che mi han chiamato così è per un'esultanza nella finale scudetto in primavera tra genoa ed empoli. Feci il gol del 2-1, il gol vittoria. Esultai con Perin che giocava con me facendo appunto il faraone"

"Il feeling con la scarpa conta tanto, uso la mercurial da 15 anni e per me è stato un valore aggiunto" 

"Non ho mai pensato a cosa avrei fatto se non fossi riuscito a fare il calciatore. Il calcio è sempre stato la mia vita, non mi sono mai accorto di essere arrivato, andando per la mia strada. Ho avuto la fortuna di iniziare presto"

"Calcisticamente, il momento più bello per me è difficile da individuare, ce ne sono stati tanti. Nonostante gli alti e bassi mi sono tolto tante soddisfazioni. L'esordio in Serie A, forse".

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[VIDEO e FOTO] El Shaarawy promuove i nuovi scarpini, tanta gente in fila per incontrarlo

Cresce l'attesa dei tifosi per incontrare Stephan El Shaarawy. Il Faraone sfiderà i tifosi nel gioco organizzato all'interno del Nike Store di via del Corso, dove a breve verranno presentate le sue nuove scarpe da gioco.  

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Avv. Contucci: “Daspo revocato al tifoso della Roma perché non c’era comportamento violento”

Ai microfoni di Retesport è intervenuto l'Avvocato Lorenzo Contucci per commentare la notizia della revoca del daspo a un tifoso della Roma, reo di essere salito sulla balaustra per lanciare cori. L'avvocato ha speiagato come il Tar abbia accolto l'istanza difensiva che sosteneva come "il comportamento del tifoso non fosse violento e che non mettesse in pericolo nessun individuo se non lo stesso lanciacori".

L'Avvocato ha poi commentato le situazioni di disagio che i tifosi sono costretti a viveve ogni volta che si recano allo stadio a causa dei lunghi controlli ai tornelli di filtraggio. Nel podcast l'intervento integrale.  

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Derby, ecco la conferma: l’orario resta alle 20.30

Dopo tanti dubbi, arriva finalmente la conferma: il derby della Capitale resta alle 20.30, come da calendario. La gara, trasmessa da Dazn, era finita nella lente d'ingrandimento della Questura di Roma per il rischio di disordini, tanto da chiederne inizialmente l'anticipo al pomeriggio. Come scrivono Zucchelli e Pugliese su Gazzetta.it, lo ha deciso oggi il Prefetto della Capitale, Paola Basilone, dopo una riunione in mattinata del comitato provinciale per l’ordine e la sicurezza.

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Trigoria. DiFra ritrova Karsdorp

Prosegue la preparazione della Roma in vista del derby di questo sabato 2 marzo. I giallorossi sono stati impegnati in una seduta d'allenamento mattutina nel centro sportivo Fulvio Bernardini. Da sottolineare il rientro in gruppo di Rick Karsdorp, dopo lo stop registrato alla vigilia della gara d'andata degli ottavi di Champions League contro il Porto. Ancora sotto controllo, invece, la situazione di Manolas: il greco prosegue senza sforzare eccessivamente la caviglia il proprio recupero, con una seduta individuale in campo. Stesso discorso per Schick. Lavoro personalizzato per Under, sempre più lontano dalla gara con la Lazio: nel mirino la trasferta in Portogallo. Il resto del gruppo, infine, ha dato ampio spazio ai focus tattici prima della partitella finale.

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[PODCAST] – Colantuono: “Dal derby lo slancio per il rush finale”

"Prestazioni negative? Col Bologna e a Frosinone contavano i tre punti e questi sono arrivati. Ora il derby può dare lo slancio decisivo per il rush finale". Così mister Stefano Colantuono ai microfoni di ReteSport. Intervenuto durante la trasmissione condotta da Massimiliano Magni ed Alessandro Cristofori, l'allenatore romano torna a parlare della Roma a pochi giorni dal derby con la Lazio. "Zaniolo? È una mezzala, ma può fare tutto. Sarà una colonna della Nazionale".

VERSO IL DERBY – "L'importante in questo momento sono i risultati, anche se ci si arriva senza fare partite brillanti. Si va verso il rush finale, nessuno regala più nulla, non era facile fare punti a Frosinone e col Bologna. Anche a livello di morale è stato un buon viatico per gli impegni futuri. Dirò cose scontate, ma il derby permette di ritrovare energie, è una gara talmente importante che si butta il cuore oltre l'ostacolo. La Roma ci arriva da vittorie importanti anche se non bellissime, le motivazioni di questo però possono essere molteplici. Il Frosinone ora sta bene rispetto a qualche settimana fa, per questo anche i giallorossi hanno incontrato difficoltà. Bene però la reazione positiva, la Roma arriva al derby con la testa serena e sgombra. Fare un pronostico è difficile, questo derby è aperto ad ogni risultato".

ZANIOLO – "Si potrebbe pensare che lo sia, ma i numeri dicono che Zaniolo esterno offensivo non è affatto limitato. La penso come Di Francesco però, lui è una mezzala talmente brava ed intelligente nonostante l'età che poi lo puoi collocare in ogni zona di campo. In lui fa la differenza la personalità, non ha paura a fare la giocata. Poi ha forza, calcia bene. Dovrà mantenere i nervi saldi, senza fare troppi voli, ma se continua a lavorare con umiltà può diventare un giocatore di caratura importante, punto fermo e colonna della Nazionale. Conterà la voglia di fare". 

GLI ERRORI DIFENSIVI – "I tanti errori nella fase difensiva sono da attribuire a cali di concentrazione. Col Frosinone nel secondo tempo non si rischia nulla fino al pareggio, la partita sembrava sotto controllo. Senza entrare nei particolari, ci sono stati degli errori che hanno complicato la situazione. L'importante era però vincere, e come insegna la Juventus a volte bisogna vincere anche così. Il giudizio poi lo daremo in maniera serena ed obiettiva a fine stagione, lasciando parlare la classifica. C'è stato bisogno anche di tirare un po' il fiato, il derby può dare grande slancio in questo senso, ricaricando le energie".

ITALROMA – "Avere tanti italiani in rosa aiuta. Avere gente che può sentire in maniera più viscerale l'attaccamente ad un certo tipo di discorso favorisce la squadra, oltre che il movimento nazionale. Non perché i calciatori stranieri non possano dimostrare questo, Manolas ad esempio lo fa, ma l'italiano può avere qualcosa in più. A Roma c'è un esempio mostruoso come De Rossi, basterebbe seguire lui per capire cosa significa essere attaccato alla squadra. Tra l'altro dell'importanza di Daniele te ne accorgi solo quando non è a disposizione, capisci che cambia tutto. Non solo a livello di prestazione, ma anche a livello di mentalità. Nzonzi sta facendo bene, tralasciando l'episodio del gol del Frosinone. Può capitare una lettura sbagliata, ed anche il portiere poteva intervenire meglio. Ma nel complesso credo però che stia facendo discretamente bene".