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Udinese-Roma. Sono 21 i convocati di Eusebio Di Francesco. Torna Peres, ancora out Gonalons

In vista della gara contro l’Udinese alla Dacia Arena, Eusebio Di Francesco ha stilato la lista dei convocati. Sono 21 i calciatori scelti dall’allenatore della Roma per l’impegno di campionato:

Alisson Becker
Bogdan Lobont
Lukasz Skorupski

Juan Jesus
Aleksandar Kolarov
Elio Capradossi
Federico Fazio
Alessandro Florenzi
Bruno Peres
Kostas Manolas

Radja Nainggolan
Kevin Strootman
Lorenzo Pellegrini
Daniele De Rossi
Gerson

Diego Perotti
Edin Dzeko
Patrik Schick
Cengiz Under
Gregoire Defrel
Stephan El Shaarawy

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Spalletti: “La Roma dovrebbe stare molto più in alto, come negli anni passati”

Luciano Spalletti, allenatore dell’Inter, ha parlato in conferenza stampa nella vigilia del match contro il Genoa. Tra le tante domande, il mister ha risposto anche ad una riguardante Di Francesco. Queste le sue parole:

Di Francesco ha detto che sopra la Roma ci sono squadre che hanno fatto mezzo tiro in porta?
"Ce ne sono altre sopra la Roma. Se però si riferisce a noi, dato che non è la prima volta, dico che sono d’accordo con lui. La Roma poteva stare molto più in alto e infatti negli anni precedenti lottava per il campionato con il Napoli, per cui i riferimenti sono questi".

Totti?
"Si è espresso in modo inequivocabile, segna un punto definitivo sul nostro rapporto".

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Di Francesco: “Ci sarà una rotazione in questa settimana. Schick è in crescita”

Eusebio Di Francesco, allenatore della Roma,parla in conferenza stampa alla vigilia del match contro l’Udinese, in programma domani alle ore 15 presso lo Stadio Friuli. Queste le sue parole:

Torna la Champions e quindi torna anche il turnover?
Ho dato sempre continuità ai giocatori che ritenevo più opportuni per determinate gare. Quando c’erano gare ravvicinate ho fatto scelte un po’ più decise. Devo dire che in questa settimana ci sarà una rotazione in più rispetto alle ultime gare, come ho fatto in passato quando la squadra raggiungeva risultati importanti. Torniamo ad essere quelli di prima.

Come è cambiato l’Udinese da Delneri a Oddo? Quali differenze ci saranno con la gara di andata? 
Oddo ha concretizzato di più rispetto a Delneri le occasioni create, ha dato maggiore concretezza, ma Delneri è un grande allenatore dal punto di vista lavorativo, ma anche Oddo è un allenatore giovane e bravo, l’ho avuto come calciatore ma l’ho conosciuto anche come tecnico. È un allenatore di buone speranze e di buona qualità.

De Rossi può giocare due partite consecutive?
Quando si rientra sono più facili due partite insieme che tre. La possibilità che possa giocare entrambe le gare è una cosa che si può fare.

E’ molto complicato iniziare a vincere con la differenza di fatturato con la Juve? 
E’ giusto quello che dice Monchi, stiamo lavorando per iniziare a fare qualcosa di importante. Senza costruire o senza rinnovarsi non si ottiene mai nulla. Il modo in cui si parla è un aspetto sicuramente positivo.

C’è un problema di ambizione? 
Se si vuole fare questo lavoro bisogna avere grande ambizione, ma io in conferenza parlo sempre di tutto e non di calcio. A Roma ci perdiamo in chiacchiere. Dobbiamo guardare i nostri obietti e cercare di fare qualcosa. Io come allenatore devo cercare di fare qualcosa e così anche i miei calciatori. Concentrarci sul campionato, poi sulla Champions e poi ancora sul campionato credo che sia la cosa migliore. Le altre cose ci interessano di meno. E’ un messaggio che trasmetto quotidianamente alla mia squadra.

Domani gioca Jesus? Kolarov può riposare? 
Su Silva dobbiamo ancora valutare, da domenica inizierà a fare qualcosa con la squadra. Dobbiamo valutarlo. Jesus potrebbe essere una possibilità sia da centrale che da terzino sinistro, ma dovrebbe essere della partita.

Schick a che punto è? Il rientro di De Rossi può far tornare al 4-3-3?
La Roma giocando con questo modulo si è arricchita, i ragazzi hanno assimilato bene il cambio di modulo. Non vi dico come giocherò domani, ma farò meno cambi possibile. Schick si è allenato bene, ma lo vedo veramente in crescita sia fisicamente che psicologicamente.

Questa Roma è quella di ottobre-novembre? 
A volte vediamo un bel gioco, ma concretizziamo poco. Dobbiamo trovare la continuità di gioco. Abbiamo vinto due partite che dovevamo vincere, ma mi auguro di ritrovare il ben gioco che si è visto a tratti. Manca la continuità nella gara. Dobbiamo partire bene e finire meglio.

Ad inizio campionato si sarebbe mai aspettato di essere così lontano dalla vetta a questo punto della stagione? 
La domanda è stata fatta anche a Monchi: c’è stata anche un pizzico di sfortuna ma siamo mancati in certe partite dove dovevamo fare dei punti. Il distacco per me doveva essere minore e sicuramente la Champions non ha influito a livello fisico. Stiamo lavorando per recuperare la strada persa.

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Allenamenti

Trigoria, seduta mattutina in vista dell’Udinese. Gonalons, Karsdorp e Silva a parte

Continua la preparazione in vista della gara contro l’Udinese. Agli ordini di Di Francesco questa mattina i giallorossi si sono riuniti a Trigoria per iniziare la sessione di rifinitura, prima della consueta conferenza stampa e della partenza per Udine. Tutta la rosa svolge lavoro con il gruppo, mentre continuano i lavori individuali di Gonalons, Karsdorp e Jonathan Silva, con quest’ultimo che migliora giorno dopo giorno la propria condizione e sarà convocabile a partire dalla gara col Milan.

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Rassegna stampa

De Sanctis: “Il calcio giocato non mi manca. Monchi? Ha dei valori umani importanti”

Morgan De Sanctis, team manager della Roma, ha rilasciato una lunga intervista al quotidiano Il Centro. L’ex portiere ha percorso passo passo tutte le tappe della sua carriera fino ad arrivare all’esperienza in giallorosso. Queste le sue parole:

De Sanctis, come ci si sente a stare in panchina e non poter entrare in campo?
«Io sono stato un privilegiato, ho avuto la capacità e la fortuna di giocare fino a 40 ad alti livelli. Ho chiuso la carriera con il Monaco campione di Francia e semifinalista di Champions League. Avevo un altro anno di contratto a Montecarlo, ma la possibilità offertami dalla Roma associata al fatto che non potevo pretendere di giocare per sempre mi ha portato a fare questa scelta. Tutti mi dicevano: “Finché puoi gioca”. E io aggiungo: “Finché ne vale la pena”. Bisogna rendersi conto di quanto tu puoi dare e di quanto puoi ricevere dal calcio. Il calciatore ad alto livello vive un privilegio, quasi un’esistenza parallela. Il calcio giocato non mi manca, perché ho deciso io di lasciare e perché faccio un altro lavoro che mi prende in toto. Però, mentalmente, il passaggio dal campo alla scrivania è duro. Io non ho avuto il tempo di pensarci».

Che cosa fa il team manager?
«E’ la figura cuscinetto tra la società e la squadra. Tutto quello di cui i giocatori e il tecnico hanno bisogno dalla società passa attraverso il team manager. E viceversa. Io svolgo queste mansioni grazie all’aiuto di Gianluca Gombar, un collaboratore preziosissimo».

Il momento più bello della carriera?
«Ho due flash: uno l’esordio da titolare con la maglia del Pescara, nel 1994, a Francavilla, contro il Venezia e con il famoso rigore parato a Vieri; l’altro, in Francia, l’ultima gara della passata stagione con la festa in campo per la conquista della Ligue 1. Due flash in cui c’è un ragazzino inconsapevole della vita che l’aspetta e l’uomo che a 40 anni va in campo con la moglie Giovanna e le figlie Anastasia e Sara di 17 e 14 anni. Non c’è solo la carriera bella, ma anche la famiglia».

C’è un posto dove ha lasciato il cuore?
«Non uno in particolare, tutti i posti mi hanno dato qualcosa. Ovviamente, le esperienze più significative sono le tre più lunghe, quelle di Udine, Napoli e Roma».

Il rimpianto?
«In posti come Napoli e Roma il rimpianto è quello di non aver vinto lo scudetto. A Napoli due volte secondi, due volte secondi anche in giallorosso. Prima il Milan e poi la Juve degli ultimi anni mi hanno negato questa gioia. In questi posti avrebbe garantito l’eternità sportiva e sarebbe stata la ciliegina sulla torta».

Ricorda il primo giorno da portiere?
«Come se fosse oggi! Avevo 5 anni, ero a Guardiagrele, il mio paese, al campetto dell’oratorio. Sono andato dritto in porta e mi sono sentito subito a mio agio. Mi sentivo a casa mia. Sono rimasto sempre lì, mai avuto altre aspirazioni. Ricordo quel giorno, cielo scuro, faceva molto freddo».

Quando ha capito che avrebbe fatto il portiere?
«Mi sono sempre portato dietro i giudizi della gente, in paese come in città. Tutti dicevano che ero bravo. Ma, in realtà, la prima volta che ho pensato che la mia vita potesse prendere una piega ben definita è quando sono stato ceduto (per due miliardi delle vecchie lire, ndr) dal Pescara alla Juventus, nel 1997. Mai vissuto il calcio come un’ossessione. Ho giocato sempre pensando a divertirmi, questa è stata la mia forza. Alla Juve mi sono reso conto che oltre a divertirmi c’erano delle responsabilità da assumersi. In campo e fuori. Ho sempre fatto vita da professionista. Mai fumato, mai ubriacato, mai trovato nei casini. Comportandomi normalmente sono stato il vero trasgressore».

La parata più bella?
«Me ne viene in mente una in particolare. Era la finale di coppa Italia 2012, Napoli-Juve 2-0. Eravamo avanti 1-0 e ho deviato un colpo di tacco di Quagliarella alzando un piede, nonostante fossi con il corpo proteso dall’altra parte. Poco dopo facemmo 2-0».

La papera?
«Gli errori fanno parte del mestiere. I portieri più grandi sbagliano al momento giusto o fanno meno errori possibile. Non ricordo di aver commesso papere che abbiano pregiudicato obiettivi a livello di squadra».

L’amico nel calcio?
«Difficile fare amicizia nel nostro mondo, io ne ho uno che supera tutti a mani basse: Massimo Margiotta, siamo cresciuti insieme a Pescara. E poi siamo stati compagni in Nazionale e a Udine. Con le famiglie ci siamo visti anche a Natale».

La svolta della sua carriera quando ha lasciato Udine?
«Sì, volevo andare all’estero. Dopo otto anni rischiavo di appiattirmi dopo aver fatto anche la Champions con la maglia bianconera. Negli ultimi due anni mi stavo adagiando. La possibilità di andare all’estero ha fatto sì che mi rimettessi in discussione. Ho fatto esperienze che mi hanno arricchito, sul piano professionale e umano».

Il rapporto con la Nazionale?
«Quello che vale per me, equivale a tutti i portieri che sono stati dietro a Gigi Buffon. Sono stato convocato circa 70 volte, ho giocato solo 6 gare. Ho partecipato a un Mondiale, due Europei, una Confederations Cup e alle Olimpiadi di Sidney 2000. E’ stato un grande privilegio stare insieme a Gigi, dal 2005 fino al 2013. Peccato per il 2006, mister Lippi fece una scelta diversa. Pazienza!».

Chi è l’erede di De Sanctis?
«Sto rivedendo un modo di parare più essenziale. Prima era spettacolare, ora si sta tornando alla concretezza. A me piace il portiere efficace. Quello che più si avvicina alle mie caratteristiche è Alisson, che ha avuto una maturazione più veloce della mia. Io sono diventato più bravo dopo i 30 anni e il brasiliano è maggiormente evoluto nel gioco con i piedi».

Gli allenatori, il meglio e peggio? 
«Oggi dico grazie a tutti e in particolare al primo, Giorgio Rumignani, che mi ha fatto esordire; a Marcello Lippi che mi ha portato in Nazionale; e a Mazzarri e a Spalletti, tra i più preparati in assoluto. E poi il compianto Gino Di Censo, come dimenticare chi mi ha cresciuto?».

Il peggio?
«Io di solito faccio buon viso a cattivo gioco, ho sempre accettato le scelte, anche quelle non condivise. Ho sempre cercato di lasciare un buon ricordo alle persone con cui ho lavorato».

Il rapporto con i presidenti?
«Buono. Ho avuto problemi con Pozzo e De Laurentiis solo nel momento in cui ho comunicato loro che sarei andato via. Volevano tenermi, ma io desideravo cambiare aria».

C’è poi l’aneddoto di quell’Inter-Napoli con annessa irruzione del presidente De Laurentiis nello spogliatoio nell’intervallo? 
«Ero appena arrivato a Napoli, nel 2009, e il presidente con il suo modo vulcanico manifestò malcontento rispetto alle prove mie e della squadra».

Di preciso che cosa accadde?
«Entrò nello spogliatoio di San Siro, stavamo perdendo. E cominciò a prendere di mira alcuni giocatori. “Pierpaolo, che portiere mi hai preso?”, chiese al dg Marino. Mai potevo immaginare che ce l’avesse con me. Non mi sentivo sotto accusa. Ero troppo sicuro delle mie qualità e della mia forza. Fu un episodio, dopodiché per quattro anni solo complimenti. E quando gli ho detto che andavo via, ha cercato di trattenermi. A Napoli ho lasciato un ottimo ricordo».

Da Udine a Siviglia, svincolandosi grazie all’articolo 17 all’epoca pressoché sconosciuto. 
«Avevo tre proposte nell’estate del 2007: Siviglia, Betis e Sunderland. Due di questi tre club mi garantivano il posto da titolare. A Siviglia c’era Palop, 34 anni, capitano, uno dei giocatori più importanti della storia moderna del Siviglia. Quando mi venne a parlare Monchi disse che avrei dovuto giocarmi il posto con Palop. E io accettai. Fino a novembre feci la riserva, poi sono entrato, approfittando di un infortunio di Palop, giocando bene. Al suo ritorno il tecnico gli ha ridato la maglia da titolare e io ho maturato la decisione di andare via perché non potevo essere un secondo portiere in quel momento della carriera».

A Siviglia ha conosciuto il ds Monchi che poi l’ha riportato alla Roma.
«E’ un andaluso, ha dei valori umani importanti, un grande professionista. Ha apprezzato i miei comportamenti. Ci siamo conosciuti a Siviglia e dopo il primo anno mi ha ceduto in prestito al Galatasaray e la stagione successiva mi ha venduto al Napoli. Quando è arrivato a Roma si è ricordato di me ed è nata la collaborazione».

E’ nata come?
«Alla fine della scorsa stagione, mi ha chiamato: “Morgan, ho bisogno di te”. Ci vediamo, pensavo mi proponesse di fare la riserva di Alisson. D’altronde, io avevo un altro anno di contratto con il Monaco. Mi chiese: “Come stai?”. Io gli risposi affermativamente. Mi fece parlare e solo alla fine disse che mi voleva come dirigente. E non come portiere. Fu molto divertente, mi chiese di smettere in maniera molto brillante…».

E’ mai stato sul punto di tornare a Pescara?
«Nell’estate del 2016, dopo la fine della mia esperienza alla Roma da calciatore, c’è stata una telefonata del presidente Sebastiani che poi non ha avuto seguito. Da quello che so, la società e Oddo avevano già preso un impegno con Bizzarri che era sotto contratto con il Chievo».

De Sanctis unico italiano a giocare in Champions con cinque squadre diverse.
«Dagli ottavi in poi, è un’emozione unica. Per un calciatore ci sono gli Europei, i Mondiali e la Champions. Competizioni top. Ho giocato la Champions con Udinese, Napoli, Roma, Siviglia e Monaco. E l’ho fatta anche con Juventus e Galatasary, ma senza giocare».

E’ vero che a Trigoria, quando capita, interagisce con Di Francesco in dialetto abruzzese?
«Certo, con Eusebio e con gli altri componenti dello staff tecnico. Capita spesso, serve per accelerare la comunicazione. Conosco Eusebio da più di venti anni anche se non abbiamo mai lavorato insieme. Lui è testimone di grandi valori. Però, ho sempre apprezzato una cosa, quella carezza che mi faceva sul viso quando ci incontravamo. Una bella persona. Ora sto conoscendo anche un grande allenatore».

Il suo rapporto con l’Abruzzo?
«Ho deciso di stabilirmi a Roma con la famiglia. Ma sono guardiese, sono abruzzese. Ho la residenza a Guardiagrele e il 4 marzo tornerò per votare. Quando penso alla mia terra mi vengono in mente i principi con cui la famiglia mi ha educato. Due paroline chiave: forte e gentile. Vado orgoglioso del mio Abruzzo, non a chiacchiere, veramente!».

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Rassegna stampa

Sponsor, cessioni, stadio: ecco il piano

CORRIERE DELLO SPORT (R.Maida) – Salvo miracoli nel percorso che ricomincerà la settimana prossima nel gelo di Kharkiv, la Roma non vincerà la Champions League e di conseguenza chiuderà la sua settima stagione americana senza un titolo in bacheca. Strootman ieri ha spiegato con la necessità di vendere l’impossibilità, o meglio la grande difficoltà, di festeggiare uno scudetto, o addirittura una coppa europea, facendo un confronto con le prime due della classifica che sono Juventus e Napoli e che pure, in effetti, hanno incassato molto denaro dalle cessioni, da Pogba a Higuain, da Vidal a Cavani, da Bonucci a Lavezzi. In realtà però la Roma ha ereditato una situazione debitoria molto difficile dalla gestione precedente e, in ossequio all’ambizione di frequentare l’Europa e nel rispetto del fair play finanziario, è stata obbligata più delle altre società a “rientrare” attraverso la politica del trading, le plusvalenze nelle compravendita dei calciatori.

PIANO A – Non sarà sempre così ovviamente, nei piani di Pallotta e dei dirigenti che quotidianamente lavorano a Trigoria. Nell’incontro della scorsa settimana l’ad Gandini e il dg Baldissoni hanno illustrato all’Uefa il proprio piano industriale, nella speranza di non ricevere altre sanzioni dopo l’accordo del 2015 che prevedeva il perfetto equilibrio tra ricavi e costi entro il 2017. L’obiettivo è stato mancato di pochi milioni a causa del dietrofront di Manolas, che ha rifiutato un trasferimento già fatto allo Zenit e ha costretto Monchi a cedere in fretta Rüdiger al Chelsea, procurando una plusvalenza minore. Perciò entro il 30 giugno non si scappa: la Roma, al netto delle imposte e degli investimenti sul settore giovanile e sulle infrastrutture, non può chiudere il bilancio in perdita. Per farlo, cederà probabilmente un altro giocatore importante.

PIANO B – Ma c’è anche un’altra possibilità. Se il direttore commerciale Danovaroriuscisse a chiudere la trattativa con il main sponsor – l’annuncio è atteso da un giorno all’altro – e la squadra riuscisse a superare un turno in Champions per poi tornarci l’anno prossimo, la Roma potrebbe cavarsela con un paio di operazioni in uscita meno dolorose sul piano tecnico, unite magari alle plusvalenze su qualche giovane (Verde, Sanabria) o alle cessioni di alcuni esuberi (Doumbia, ieri a segno con lo Sporting in Euroleague) che non fanno parte dell’attuale organico. Dal prossimo bilancio poi Monchi avrebbe meno vincoli per migliorare la rosa, aspettando il bivio decisivo per l’incremento dei ricavi: l’apertura del nuovo stadio.