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Infermeria

Cristante e Mancini non al meglio: le ultime

La Roma ieri è tornata a lavorare a Trigoria e ai più attenti non è sfuggita l’assenza dal campo, insieme ai compagni, di due calciatori: Mancini e Cristante.

Allenamento personalizzato per i due calciatori azzurri, che hanno accusato qualche problemino nella sfida contro la Fiorentina. Si tratta però di pura gestione delle singole situazioni e da Trigoria non filtra alcun allarmismo.

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APPROFONDIMENTI

Panchina Roma, è corsa a 5: i profili

Parallelamente al campo, alla lotta per la Champions o per un altro piazzamento nelle coppe in vista della prossima stagione e all’attesa per il primo dei big match che attendono i giallorosso da qui a fine anno, si continua a discutere, parlare in ogni angolo della città, sui social e ovviamente in radio, del futuro allenatore della Roma.

Un ‘Mr X’ sul quale si rincorrono voci, indiscrezioni, presunte conferme a cui seguono sonore smentite, tra liste certe pre e post intervento di Ranieri in conferenza stampa che alcuni indizi li ha dati.

Tanto per cominciare la tempistica: “Sarà Friedkin a decidere e comunicarlo, sapete come è fatto il presidente”… della serie: potrebbe essere domani o tra una settimana, piuttosto che tra un mese. Ma ‘radio mercato’ è concorde su un aspetto, neanche troppo relativo: la Roma l’allenatore lo ha scelto o l’avrebbe scelto, riducendo la lista dei candidati, ascoltando diversi profili nel corso delle scorse settimane.

Fosse così, verrebbe meno l’interesse o quasi per scoprire chi sarà il prescelto, tranne la spasmodica attesa dei tifosi, che non vorrebbe ricevere brutte sorprese.

Allo stato attuale per tutta una serie di ragionamenti, contatti, formali o informali, nomi depennati ufficialmente dallo stesso Ranieri in qualità di frontman della società, sembra essersi ridotta a 4 la lista dei potenziali candidati, che tali oggi non possono esser più perchè ad Aprile è improbabile che la Roma non abbia già approfondito con i reali obiettivi dinamiche di mercato, strategie e prospettive economiche, rendendo a Friedkin una lista chiara di ‘consigli’.

Stefano Pioli, Massimiliano Allegri, Roberto Mancini, Vincenzo Italiano e Maurizio Sarri. Quasi certamente tra questi cinque nomi c’è il prescelto a guidare la Roma almeno nel prossimo triennio.

Italiani, esperti e che condividono tutti un aspetto tattico: amano giocare con la difesa a 4. Un sistema che nel paradosso di una Roma da anni schierata di partenza a tre (ma in maniera forzata), consentirebbe di lavorare con più lucidità e in maniera più mirata sul mercato rispetto all’impostazione ‘tipicamente’ Gasperiniana.

La scelta e il conseguente annuncio non dipenderà dal piazzamento in classifica, perchè in ogni caso si tratterà dell’inizio di un percorso di ricostruzione, ma non dalle macerie tecniche come era presumibile immaginare qualora fosse rimasto Juric e non fosse tornato Ranieri.

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Interviste

Mancini: “Sono pazzo di questa tifoseria. Dovbyk? E’ un armadio, va sostenuto. Rincorsa pazzesca, ora ci giochiamo tutto”

Gianluca Mancini ha parlato ai microfoni di ‘Cronache di Spogliatoio’, format Youtube. Ecco le sue parole:

È diventata una rincorsa Champions?
«Sicuramente, da quel derby a oggi, in pochi ci credevano davvero. Erano in pochi ad averci pensato. Noi, dentro lo spogliatoio, sapevamo cosa stavamo facendo, ma all’arrivo del mister Ranieri, a essere sinceri, anche noi facevamo un po’ fatica a crederci. Tuttavia, con il lavoro e la tranquillità che ha portato il mister, partita dopo partita ci siamo resi conto che potevamo recuperare terreno e riagganciarci al gruppone. Adesso siamo lì, ma come ho detto ci aspettano partite davvero difficili. Questa è l’ultima di un ciclo di otto gare importanti, e dobbiamo pensare a vincere per rimanere attaccati al treno».

Quando vedevate la classifica in autunno pensavate alle coppe come ancora di salvezza o consideravate il campionato una cosa fattibile?
«Le coppe, avendo raggiunto una semifinale negli ultimi cinque anni, sono sempre state un obiettivo a cui tenevamo particolarmente. Peccato che quest’anno le cose non siano andate come speravamo. Il campionato, invece, ci faceva soffrire troppo. Era dura vederci in quelle posizioni, in quei mesi in cui i risultati non arrivavano. Tuttavia, come ho detto tante volte, l’impegno durante gli allenamenti, la forza del gruppo e la voglia di stare insieme non sono mai mancati, nemmeno nei momenti più difficili. Non posso dire che fossimo completamente sereni, ma avevamo la convinzione che le cose si sarebbero sistemate. Non si poteva pensare di trascurare il campionato per concentrarsi solo sulla coppa, perché nello spogliatoio ragioniamo sempre partita dopo partita. La classifica ci pesava, vedere la Roma in quelle posizioni ci faceva male, e volevamo risalire».

Su Ranieri.
«Da quando è arrivato, il mister ha aperto la porta del nostro spogliatoio. Io, ma credo anche i miei compagni, abbiamo percepito un allentamento della tensione e di quella sensazione di malessere che ci accompagnava, perché stavamo vivendo davvero male la mancanza di risultati. Il mister ci ha spiegato il suo metodo di lavoro, come vedeva le cose sia sul campo che nell’atteggiamento. Una cosa che mi ha colpito particolarmente è stata una frase che ha detto appena arrivato. Era novembre, venivamo da una serie di brutti risultati e non ricordo esattamente la nostra posizione in classifica, ma tutti sapevano che la situazione era complicata. Eppure lui, fin da subito, ha detto che i cavalli buoni si vedono alla fine. Quella frase mi ha fatto riflettere. È arrivato in un momento drammatico, senza conoscerci direttamente, ma evidentemente aveva visto qualche partita e aveva intuito il potenziale della squadra. Dire una cosa del genere in quel contesto ci ha dato una grande spinta: ci ha fatto capire che lui credeva in noi, anche senza conoscerci a fondo. Da quel momento abbiamo deciso di seguirlo, di lavorare secondo le sue indicazioni e di affidarci alla sua esperienza. Così siamo arrivati fin qui, ma, come ho detto prima, non abbiamo ancora fatto nulla».

Quanti messaggi hai lasciato a Ranieri chiedendogli di restare?
«Questo è un tema particolare. È sempre stato chiaro con noi e lo è stato anche nelle ultime settimane con voi giornalisti. È evidente che una figura come la sua sia importante non solo per noi giocatori, ma per tutto l’ambiente Roma: da chi lavora a Trigoria, a chi viene allo stadio, fino ai calciatori stessi». Sul rapporto con i tifosi. «L’amore dei tifosi l’ho sentito fin da subito, già dal primo anno. Non so se vi ricordate, ma ho giocato alcune partite a centrocampo in una situazione di totale emergenza, con tanti centrocampisti assenti. Il tifoso romanista, in questi momenti, ti trasmette la voglia di aiutare la squadra, anche oltre i propri limiti. È stato allora che ho capito questo amore reciproco, perché anche io sono pazzo di questa tifoseria, di questo stadio, di questi tifosi e di questa città. È un legame speciale, fatto di tante emozioni che si sono intrecciate nel tempo. In campo, a volte, mi trasformo perché l’adrenalina prende il sopravvento. Tuttavia, soprattutto nell’ultimo periodo, con mister De Rossi e mister Ranieri abbiamo lavorato molto su questo aspetto».

Su Dovbyk.
«Artem è un ragazzo d’oro, eccezionale. Sappiamo tutti quello che purtroppo sta vivendo la sua famiglia, e credo che questo lo condizioni un po’. Tuttavia, quando siamo in campo, nei 90 minuti bisogna essere bravi a lasciare da parte tutto il resto, anche se non è sempre facile. A volte lo prendo in giro o lo sprono, perché è un armadio a quattro ante, enorme. Quando mi alleno contro di lui e ci scontriamo nei contrasti, quasi mi viene paura, perché se arriva con forza ti manda a quattro metri di distanza. Ieri, fino al primo tempo, l’ho caricato in modo particolare e gli ho detto: “Artem, o fai gol o ti prendi un giallo, voglio vederti dare una spallata a un difensore e farlo volare fuori dai cartelloni”. E infatti, il gol è quasi nato da una spallata con Federico Baschirotto. Sono due ragazzi fisicamente imponenti, ma quella cattiveria agonistica, in senso sportivo, è stata decisiva per segnare. Quando ha esultato, gli ho detto: “Sei forte, devi sfondare sempre”, ovviamente in senso positivo e calcistico».

Avete mai pensato a dove sareste potuti essere se Ranieri fosse arrivato prima?
«Guarda, hai trovato la persona sbagliata, perché io con i se e con i ma non vado d’accordo. Il mister è arrivato in quel periodo e, senza dire che abbiamo vissuto tre campionati diversi, in una sola stagione abbiamo cambiato tre allenatori. Anche se a Mister De Rossi non è stato dato molto tempo, la realtà è che ci siamo trovati a lavorare con tre tecnici diversi, affrontando difficoltà iniziali con ognuno di loro. Anche con il mister, all’inizio, le cose non sono andate benissimo, perché abbiamo perso delle partite. Però c’era qualcosa di diverso, lo sentivamo nell’aria. Quindi non posso risponderti in modo netto, dicendo semplicemente dove eravamo e dove siamo ora».

Vedete l’obiettivo europeo in modo diverso ora?
«Il calendario è difficile, ma lo era anche prima. Le partite di quest’anno hanno dimostrato che vincere non è mai scontato, su nessun campo. Ovunque vai, trovi delle difficoltà. Non è che se vinci a Lecce, poi automaticamente vinci a Empoli o a Parma. Non si può dire che affrontare queste squadre sia più facile rispetto alle big, almeno sulla carta. Le partite sono sempre complicate, ma ora affronteremo squadre che sono vicine a noi in classifica e che lottano per gli stessi obiettivi. È inutile girarci intorno: da come siamo partiti a dove siamo arrivati adesso, siamo tutti lì, separati da pochi punti. Bisogna ragionare partita per partita Sono le partite più belle, quelle che affronti con grande carica, spinta e voglia di dare il massimo. Bisogna prepararsi al meglio, concentrandosi prima sulla Juventus, poi sulla Lazio, poi sul Verona e sull’Inter. Ogni domenica si scende in campo sapendo che ogni punto può fare la differenza. È fondamentale affrontare ogni gara con questa mentalità, perché alla fine sarà proprio ogni singolo punto a determinare il nostro percorso».

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APPROFONDIMENTI

Roma, la prossima estate una delle priorità sarà la difesa: l’analisi

FOCUS RS (di Francesco Oddo Casano) – Due indizi non fanno una prova, ma quasi. La Roma nella prossima stagione per tutta una serie di ragioni dovrà contemplare tra i prioritari investimenti sul mercato, l’acquisto di almeno un difensore centrale.

Il problema è stato evidente soprattutto nel momento in cui dall’originaria impostazione a 4 su cui De Rossi aveva spinto e lavorato in estate, una serie di situazioni hanno sospinto anche l’ex capitano romanista a rivedere in parte le sue convinzioni, tornando al vecchio sistema a 3. Poi è arrivato Juric, affezionato cultore della linea a tre e lo stesso Ranieri, modulandola con l’utilizzo di un braccetto più terzino che centrale, non si è discostato molto da questa idea.

Foto Farioli

In attesa di capire chi sarà il nuovo allenatore che potrebbe proseguire con questa impostazione che di fatto perdura da almeno sei anni, oppure tornare a quattro, l’intenzione di Ghisolfi è quella di investire su un difensore centrale, con determinate caratteristiche.

Il primo problema da affrontare è quello numerico: la Roma quasi certamente perderà Hummels, che in queste ultime settimane ha mostrato delle palesi difficoltà psicofisiche e le sue problematiche private incideranno sulla scelta finale di tornare in Germania. Un altro capitolo è quello di Hermoso: non si è mai ambientato a Roma, è andato al Leverkusen in prestito dove ha giocato di più, senza clamorosi picchi ma si è anche rotto la spalla. Rimarrà fermo fino a fine stagione e tornerà nella capitale con un biglietto aperto per ripartire. Due anni di contratto pesanti, di cui la Roma vuole liberarsi, salvo clamorose riabilitazioni del prossimo tecnico giallorosso.

Saltato l’affare Danso ad agosto (giocatore che era stato prescelto per assumere il ruolo della guida, del leader difensivo), la Roma si ritrova dunque con Mancini, Ndicka e potenzialmente Kumbulla, che rientrerà dal prestito all’Espanyol. Il centrale albanese ha fatto molto bene, ha giocato praticamente tutte le partite, si è certamente riabilitato e messo in vetrina. Probabilmente almeno nelle intenzioni iniziali del club sarà una buona pedina da mettere in vendita per fare cassa e finanziare altre operazioni.

Foto Farioli

Ergo numericamente e qualitativamente serve almeno un innesto importante, se non due. Dipenderà dai moduli, ma la Roma è già a caccia da mesi di un titolare da inserire in rosa.

L’identikit? Un giocatore fisicamente aitante, forte di testa, uno che sappia marcare meglio di Mancini e soprattutto di Ndicka in area di rigore e che possa sensibilmente migliorare il rendimento del pacchetto difensivo, registrato di recente da Ranieri, ma spesso non in grado di reggere per 90 minuti in termini di concentrazione.

Negli ultimi giorni sono emersi dei nomi che vanno in questa direzione, per tipologia di difensore: Banks dell’Augsburg, Balerdi del Marsiglia già cercato a gennaio. Ci sarebbero anche profili interessanti nella nostra Serie A, ma Ranieri recentemente ha ammesso che nella ricerca nel calcio nostrano, ‘abbiamo qualche difficoltà in più’. Una frecciatina all’attuale direttore sportivo, che ama muoversi con i suoi canali privilegiati su Francia, Germania e Belgio preferibilmente.

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APPROFONDIMENTI

Mancini verso la Tevere a difesa di Dovbyk: come De Rossi con Dzeko nel 2016

Dall’inferno al paradiso nel giro di poco più di 30 secondi.

Artem Dovbyk ieri ha siglato il 15° gol stagionale, dopo aver clamorosamente fallito un’occasione a tu per tu con Caprile, su suggerimento verticale di Baldanzi.

In quei secondi di attesa della ripresa del gioco dalla bandierina, parte dell’Olimpico ha indirizzato all’ucraino imprecazioni facilmente udibili, soprattutto dalla Tribuna Tevere. E una volta battuto l’angolo, realizzato il gol del vantaggio, l’esultanza soft rispetto a quanto avvenuto col Como ha visto protagonista Dovbyk soprattutto di un abbraccio affettuoso da parte di tutta la squadra e in quell’abbraccio è stato visibile il gesto di Gianluca Mancini che si è rivolto proprio alla Tevere, intimando a tutti di esaltare il centravanti giallorosso.

Da inizio anno si paragona spesso l’andamento stagionale di Dovbyk a quello di Dzeko, nel numero di gol sbagliati, nella difficoltà di affermarsi da titolarissimo. E ieri il gesto di Mancini ha ricordato molto quello di De Rossi in occasione di un Roma-Inter vinto 2-1 dai giallorossi grazie alla rete iniziale di Dzeko su assist di Gervinho.

Da capitano a capitano, la difesa del numero 9. La speranza di tutti è che l’ucraino come il bosniaco sbocci definitivamente e si prenda la Roma.

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Interviste

Mancini: “Bilbao è una ferita che rimarrà”

Gianluca Mancini ha parlato ai microfoni di DAZN dopo la vittoria contro il Cagliari:

L’esultanza con Dovbyk?
“Fa parte del gioco. A volte i tifosi sono amareggiati perché la vivono con tanta passione, noi cerchiamo di essere il più equilibrati possibile. Dovbyk aveva sbagliato un gol ma si è subito rifatto ed è importante. Se segnano lui e Shomurodov è importante, volevo caricare lo stadio per incitare Artem”.

Cosa vuol dire questa vittoria prima della sosta?
“Bilbao è una ferita che rimarrà dentro, c’è la sensazione che non ce la siamo giocata ad armi pari. Nel calcio si va avanti, oggi era importantissimo vincere contro una squadra così tosta. Svilar ha fatto delle parate importantissime, è stata una partita maschia e dura. Era importante vincere, ora ci aspettano nove finali”.

La Champions League è un obiettivo concreto per la Roma?
“Non bisogna guardare le altre squadre ma solo il nostro percorso. Dobbiamo guardare a noi stessi e pensare partita dopo partita. Ci sono nove finali da giocare”.

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Empoli-Roma, out Celik, Mancini e Dybala: turno di riposo per la Joya

La Roma è in viaggio nel pomeriggio destinazione Empoli, dove domani andrà a caccia della quinta vittoria consecutiva in campionato.

Tra le fila giallorosse assenti Mancini per squalifica, Celik per infortunio e Paulo Dybala.

All’argentino Ranieri ha concesso un turno di riposo per ricaricare le batterie in vista della battaglia di giovedì prossimo al San Mames.

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Ranieri e Mancini in conferenza alla vigilia di Roma-Porto

Sarà Gianluca Mancini ad affiancare Claudio Ranieri alle 13:00 in conferenza stampa alla vigilia di Roma-Porto.

Il vicecapitano romanista, sempre più in realtà capitano in prima battuta visto che Pellegrini ha perso i crismi dell’inamovibilità, tornerà dunque a parlare in sala stampa alla vigilia di un match europeo. Non accadeva da circa un anno.

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Mancini, problema alla caviglia: la situazione

Gianluca Mancini si è fermato alla fine del primo tempo contro il Parma per una forte contusione alla caviglia destra dovuta ad un contrasto con Bonny.

Lo stesso Ranieri si è detto però possibilità sul suo recupero in vista di giovedì: “Ha preso una botta forte, abbiamo evitato ci giocasse sopra perchè si stava gonfiando”.

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Interviste

Mancini: “Gli esoneri di Mou e De Rossi uno choc. Ranieri ha riportato serenità”

Gianluca Mancini ha parlato ai microfoni de il Tempo in esclusiva. Ecco le parole del difensore giallorosso:

Il 2025 inizia con il derby, quali sono le sensazioni in vista di questa partita?

“È una partita particolare. Non c’è un avvicinamento diverso per ogni derby, ma è una settimana particolare, si sente subito dagli allenamenti, è nei pensieri da quando ti svegli fino a quando vai a letto. Durante la giornata pensi ‘devo stare attento, c’è il derby’. L’avvicinamento alla partita ti porta carica e voglia di far bene”.

Nell’ultimo derby ha esultato con una bandiera della curva e si sono scatenate polemiche. Che accoglienza si aspetta?

“Se ci saranno fischi saranno normali. Quando sei in campo non ci pensi. Anche nei derby precedenti c’è stato un po’ di accanimento nei miei confronti, la vivo in maniera serena. Anzi, mi fa stare più concentrato”.

Come ci arriva la squadra?

“Il mister è arrivato e ha portato quella serenità che purtroppo in questo fine 2024 era venuta a mancare. Mi sentivo nervoso, sapevo che non stavo facendo bene il mio lavoro e l’aria dentro lo spogliatoio era pesante. Già guardandolo e vedendolo arrivare dentro lo spogliatoio ci ha fatto buttare un po’ giù la tensione e l’aria adesso è positiva. A parte lo scivolone che abbiamo avuto a Como, abbiamo fatto delle partite buone”.

Il 2024 è stato un anno particolare. Il primo momento difficile è stato l’esonero di Mourinho…

“L’esonero del mister è arrivato in un momento delicato. Eravamo usciti in Coppa Italia con la Lazio, poi la sconfitta con il Milan. Venivamo da un periodo di emergenza, stavo male ma giocavo perché c’era Smalling infortunato e N’Dicka in Coppa Africa. L’esonero del mister è stato inaspettato. Una mattina sono andato a Trigoria e ci hanno comunicato che non era più il nostro allenatore. L’ho aspettato fino all’ultimo per salutarlo perché non riuscivo ad andarmene via. È stato un saluto abbastanza freddo, eravamo entrambi molto scossi. Però l’ho abbracciato, l’ho ringraziato per quei due anni e mezzo che mi hanno dato una persona e un allenatore splendidi. Nemmeno nei miei sogni da piccolo potevo immaginare di essere allenato da una leggenda come lui”.

Dopo Budapest ha fatto bene a rimanere?

“Non lo so. A inizio stagione lo avevo visto carico e sereno. Poi lui ora ha detto questa cosa (di essersi pentito di essere rimasto a Roma, ndr), magari a mente fredda, ripensando a tutto quello che è successo. Però in quei primi sei mesi sembrava tutto normale, anche se non era il solito Mourinho”.

Poi è iniziata l’era De Rossi, finito con un esonero ancora più inaspettato…

“Da quando è arrivato a gennaio e fino alla partita di Leverkusen abbiamo spinto tanto. In tre mesi abbiamo fatto un percorso importante perdendo solo con l’Inter e facendo una rincorsa difficile per il quinto posto che sarebbe valso la Champions. Dopo quella partita ci è caduto il mondo addosso, perché potevamo fare un’altra finale nel giro di tre anni. Dopo Leverkusen eravamo sotto terra, la gente faceva fatica a fare la doccia, ad andarsene dallo stadio. Io fui l’ultimo ad uscire con Pellegrini, il mister e Spinazzola. Siamo arrivati alla fine della stagione un po’ zoppicando, avevamo finito la benzina. Quest’anno siamo ripartiti con il ritiro, con nuovi giocatori giovani e forti, abbiamo cambiato tanto. Con De Rossi c’era un progetto di tre anni e vederlo andare via dopo quattro giornate è stato un trauma per me, per la squadra, per il gruppo, per i giocatori che erano venuti perché era lui l’allenatore. Ci sono state delle decisioni societarie sulle quali noi calciatori non entriamo nel merito, perché, sembra una frase fatta, ma i calciatori fanno i calciatori, le scelte le prendono i presidenti. Quel giorno è stato un giorno veramente triste, traumatico per il gruppo”.

Ci racconta i retroscena di quei giorni e di quelle riunioni con la società?

“Ci sono state delle riunioni con qualche giocatore, però non ci è mai stato chiesto dell’allenatore. Abbiamo fatto una semplice riunione dove ci veniva chiesto il motivo per la quale in quelle prime quattro partite avevamo fatto solo tre punti. Ai più esperti era stato chiesto se ci fossero problemi nello spogliatoio anche con i nuovi arrivati. Dopo queste riunioni ci siamo confrontati per capire se a tutti erano state chieste le stesse cose, ed è stato così. Dopo un giorno libero tornammo a Trigoria e mentre stavo facendo le analisi del sangue e ho letto sul telefono la notifica che era stato esonerato De Rossi. Siamo rimasti tutti stupiti. Nello spogliatoio tanti nuovi avevano gli occhi spalancati. Noi che stiamo da più tempo qua a Roma abbiamo fatto gruppetto e siamo andati a chiedere spiegazioni, il direttore (Ghisolfi, ndr) e l’ex Ceo ci hanno detto che la decisione era stata presa per il bene della Roma, quello che hanno scritto nel comunicato. Abbiamo detto ai compagni che la decisione era questa e bisognava andare avanti per il bene di tutti e della Roma”.

C’erano avvisaglie di questa crisi tra De Rossi e Souloukou?

“Si vedeva il gruppo che cresceva, che i giocatori arrivavano felici ed entusiasti e De Rossi era carico per il lavoro fatto. Sinceramente non ho avvertito frizioni tra loro, quando due persone sono in conflitto si nota, ma nulla sembrava portare a un esonero così brusco”.

Poi è stato il momento di Juric. Che impatto ha avuto?

“Abbiamo iniziato bene vincendole prime gare. Juric è arrivato e, come ha detto tante volte lui, ed è la verità, ci ha chiesto come stavamo e noi, schietti e sinceri, abbiamo detto ‘male’, eravamo delusi e lui ci ha detto: “Mi fa piacere la vostra sincerità”. Si è presentato bene, ha cercato di tirarci su mettendo in pratica il suo modo di giocare. Con una squadra che secondo me che non era pronta a questo stravolgimento tattico. Salutandoci dopo l’ultima partita con il Bologna me l’ha confidato: ‘potevo magari alleggerire questo modo di pressare uomo contro uomo’. La squadra ha cercato di fare quello che ci chiedeva. Sono stati due mesi di tantissimi bassi e pochi alti che hanno compromesso tanto la classifica. Però ci sono sempre sei mesi da giocarci e lo faremo al massimo”.

C’è stato un dialogo con lui per cambiare qualcosa?

“No, il suo credo è rimasto lo stesso. Cercavamo di seguirlo, ma non eravamo pronti a questo stravolgimento tattico. Cambiare tre allenatori nel giro di otto mesi con idee diverse è difficile. Non è una scusa, non è un alibi, ma è molto difficile”.

Cosa è successo nello spogliatoio a Firenze?

Ci sono state delle discussioni, non mi nascondo. La Fiorentina ci ha massacrati e quando prendi cinque gol da qualsiasi squadra entri nello spogliatoio e sei un fiume in piena, vorresti buttare giù muri. Però poi ci siamo riuniti tutti e ci siamo detti ‘questa è la strada che il mister vuole prendere e andiamo dritti’. Volevamo seguire davvero l’allenatore”.

Dopo quel pesante ko c’è stato un confronto con i tifosi, come lo hai vissuto?

“È stato giusto. Uscendo da Trigoria c’erano dei tifosi mi sono fermato dicendogli la verità. In quel momento nessuno di noi calciatori era contro Juric. Ma la discontinuità di quelle settimane ti faceva pensare di non arrivare mai. Quando torni a casa non puoi dire ‘vabbè, a Trigoria è andata così e a casa sono sereno’. Stai male, anche perché ci sono sempre i tifosi che ti vengono dietro, anche se le cose non vanno bene e non riuscire a ripagarli fa stare male”.

Quanto ci ha messo Ranieri per ridarvi serenità?

“Vederlo aprire la porta ed entrare nello spogliatoio mi ha fatto fare un sospiro di sollievo, ha portato serenità a livello tattico e tecnico. Le sconfitte contro Napoli e Atalanta ci hanno dato consapevolezza. Anche le partite con Tottenham e Braga ci hanno portato quella serenità di cui parlavo ed è una cosa importante, come anche la vicinanza del pubblico. Roma è una piazza calorosa, il 60-70% di vittorie in casa passa dai tifosi, perché sentire lo stadio avvelenato a tifare contro di noi non è facile”.

Come hanno vissuto i senatori la contestazione? In particolare Pellegrini e Cristante. Pensi che davvero possano lasciare Roma?

“Sono stati giorni difficili per tutti, non solo per i ‘senatori’, come li chiamate voi. Non è una parola che ci piace, si sente solo a Roma. Non sei leader perché sei da più tempo alla Roma, qui ci sono leader già dopo sei mesi. Il momento della contestazione è stato brutto per tutti, poi è chiaro che i ragazzi più vecchi come me, Bryan e Lorenzo la viviamo in maniera diversa perché ci sentiamo più responsabili. Sapevamo che i risultati erano brutti e che i tifosi erano liberi di contestare. Se Bryan e Lorenzo andranno via non lo so, penso a me stesso. Posso dire che sono più sereni loro come tutta la squadra. Siamo molto amici, non lo nascondo, gli voglio un bene dell’anima. Spero con tutto il cuore che le cose migliorino per tutti”.

Vede una luce in fondo al tunnel per Pellegrini?

“Lorenzo in allenamento è sempre un esempio, anche se sta giocando meno, si allena sempre al massimo e col sorriso per mettere in difficoltà il mister. È pronto per combattere per la sua squadra del cuore alla quale tiene tantissimo, si arrabbierà ma è la verità (ride, ndr)”.

Quali sono gli obiettivi della stagione?

Facciamo il meglio possibile sapendo che è difficile contro chiunque e la partita di Como lo ha dimostrato. Se abbassi un attimo il livello e ti ‘addormenti’ le prendi da tutti. Quindi viviamo domenica dopo domenica sapendo che dobbiamo dare il 110% senza abbassare mai la guardia”.

Cosa ha portato l’esperienza di Hummels alla squadra e in particolare alla difesa.

‘L’ho definito il professore. Abbiamo alcuni anni di differenza, mentre ero in campeggio lui giocava la finale del Mondiale nel 2014. In campo ha delle letture in pochi hanno. Contro il Tottenham ha fatto una scivolata che io non avrei mai pensato di fare, anzi magari se ci provo mi fischiano sei rigori contro (ride, ndr). Lui invece era sereno, un intervento pulito. Mi sono girato e gli ho detto ‘tu sei pazzo”. Lui rideva’.

Le dà fastidio essere uscito dal giro della nazionale? Ha più sentito Spalletti?

“Dopo l’Europeo non ci siamo più sentiti. Lo ringrazierò sempre per la possibilità di aver partecipato agli Europei anche se non sono andati bene. È sempre stato schietto con me e molte volte anche se non mi aveva convocato mi chiamava se c’era bisogno e io ho sempre dato la mia disponibilità. La nazionale è il sogno di ogni bambino. Vediamo cosa accadrà, lui ha sempre detto di non voler chiudere le porte a nessuno”.

Si parla tanto dei nuovi acquisti, come si concilia l’esigenza di risultati con il tempo di ambientamento dei giovani?

“In Italia non c’è tempo. In teoria tutti hanno bisogno di tempo, basta guardare le difficoltà che hanno attraversato Klopp e Arteta in Inghilterra prima di arrivare a grandi risultati. Il tempo dovrebbe esserci ma di fatto non c’è”.

Dopo un’estate difficile ora Dybala sembra tornato sui suoi livelli.

Paulo non ci ha mai detto di voler andare via. È stato importante che sia rimasto, eravamo molto felici. Credo semplicemente che ora stia bene fisicamente, è giusto che quando sta male non giochi. Spero continui ad aiutarci a vincere le partite facendo cose straordinarie come il gol di San Siro”.

Ranieri ha detto che l’obiettivo a lungo termine è di vincere lo scudetto con i Friedkin, cosa ne pensa?

“I presidenti tengono alla Roma, lo dimostrano i fatti. In estate hanno fatto una grande campagna acquisti con giovani importanti che sono la base per il futuro. Sono presenti, quando vengono parlano con noi calciatori. Per arrivare a vincere uno scudetto c’è bisogno di un percorso importante, non è facile quanto a dirlo. Devi costruire una mentalità forte, non a parole, ma con i fatti. Con Mourinho lo abbiamo fatto in Europa con le due finali e la Conference che ci hanno reso una realtà solida in campo internazionale. Vincere quella coppa non era affatto facile, e purtroppo Budapest ci ha impedito di avere quella spinta per arrivare a giocartela per il campionato. Vincere dà consapevolezza, come sta accadendo per l’Atalanta dopo l’Europa League. Nelle coppe abbiamo fatto partite meravigliose, dove dicevi ‘oggi la Roma vince, non ce n’è per nessun’ e siamo arrivati sempre in fondo. Se avessimo vinto a Budapest avremmo avuto quella fame per lottare per lo scudetto”.

Cosa significa Roma per lei? Vuole chiudere qui la carriera?

“Non ci penso. Mi vivo il percorso che ho fatto da quando sono arrivato, sono grato ai tifosi che mi sostengono, vedo che mi vogliono bene. Il mio modo di fare è genuino sia in campo che fuori, cerco sempre di dare il massimo per questa maglia e per questa gente. Mi danno sempre qualcosa in più per fare bene. Io e la mia famiglia amiamo questa città e sono felice qui. Ho altri due anni di contratto e voglio godermi ogni momento sperando che le cose possano migliorare”.

Si è parlato di Napoli per lei già a gennaio…

“L’ho letto ma non c’è nulla di vero. Il mio procuratore non mi ha mai detto nulla e sa quello che penso”