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La Real Sociedad di Alguacil: sangue basco, sostenibilità e valorizzazione dei talenti

L’AVVERSARIO (di Francesco Oddo Casano) – Passata la sbornia per la vittoria contro la Juventus, non c’è tempo per fermarsi perchè la Roma riaprirà il capitolo Europa League, tornando ad affrontare una squadra spagnola e per la prima volta incrocerà le spade con la Real Sociedad (dopo aver affrontato nelle coppe più volte Real Madrid, Barcellona e Valencia, ma anche il Villarreal, l’Atletico Madrid, il Siviglia, il Real Zaragoza e il Betis in questa stagione).

La formazione di Alguacil ha disputato sin qui un’ottima stagione, a tratti decisamente sorprendente rispetto alle previsioni della vigilia, ma ultimamente sta perdendo terreno, soprattutto in campionato. I baschi – terzi fino a qualche giornata fa – hanno totalizzato solo 6 punti nelle ultime sei di Liga e sono stasi sorpassati dall’Atletico Madrid. Attualmente veleggiano in quarta posizione, con 44 punti all’attivo e +3 sul Betis. Di fatto stanno disputando un campionato molto simile a quello giallorosso, con l’obiettivo di tornare a giocare la prossima Champions League.

CENNI STORICI E SVOLTA SOSTENIBILE – La Real Sociedad è una società fondata nel 1909 ed è uno dei novi club spagnoli che non è mai finita oltre la segunda division. Il periodo più fulgido è quello dei primi anni 80, quando la società basca vinse due campionati, una supercoppa e una coppa di Spagna, arrivando anche in semifinale di Coppa dei Campioni. Recentemente però c’è stata un crollo e una rinascita fondata su un cambio di rotta societaria, su spinta del nuovo proprietario – autoctono – Jokin Aperribay. Dopo la retrocessione del 2007 infatti i baschi, riassaporata l’onta del declassamento in Segunda Division hanno deciso di cambiare totalmente la filosofia: via tutti i giocatori anziani, investimenti assoluti sul settore giovanile e una squadra di ragazzini che in due anni ha riconquistato con merito la Liga. Al culmine del primo ciclo, con Antoine Griezmann come diamante e protagonista del rilancio, la Real Sociedad riconquista anche la Champions nel 2013, incassa dalle cessioni e riparte, ristrutturando anche lo stadio (la Reale Arena che ha una capienza di quasi 40 mila spettatori).

Le ultime stelle? Lo svedese Isak, scovato per 6,5 milioni e rivenduto per 75 al Newcastle, per non parlare di Odegaard – valorizzato per due anni in prestito dal Real – oggi protagonista assoluto nell’Arsenal di Arteta. Adesso ci riprovano con Sorloth (13 gol stagionali, miglior marcatore dei baschi), prelevato dalla galassia Red Bull e ritenuto il più forte, dopo Halland, tra Lipsia e Salisburgo. Il culmine, sul campo, della nuova gestione è stato finora il successo nella Copa del Rey del 2020, contro il Bilbao, con Alguacil – in panchina dal 2018 – che festeggia come un ultras in sala stampa.

DIFESA A 4 E PROFETA IN PATRIA – 58 anni, ex calciatore della Real Sociedad e sangue biancoazzurro nelle vene, Imanol Alguacil è simbolo, condottiero e ispiratore della formazione basca. Quella di giovedì all’Olimpico per lui sarà la gara numero 205 sulla panchina dei txuri-urdin: 97 vittorie, 52 pareggi e 55 sconfitte. Pratica un calcio molto intenso e evoluto tatticamente, che si fonda sulla difesa a 4 e si sviluppa poi, a seconda del piano gara e delle strategie avversarie, o sul rombo a centrocampo o sui tre trequartisti alle spalle della prima punta. Nelle 35 gare di questa stagione la sua squadra ha segnato 53 gol, incassandone 27. Numeri che spiegano perfettamente che tipo di difficoltà tattica troverà la Roma nella doppia sfida con i baschi. L’idea calcistica di Alguacil è da una parte certamente propositiva ed improntata al mantenimento del possesso ma si fonde anche con le caratteristiche tipicamente basche di una squadra aggressiva, veloce, atletica e verticale. Da segnalare il continuo interscambio di posizioni in zona offensiva, per destabilizzare le marcature avversarie e creare aggressioni improvvise in area di rigore.

GIOVANI TALENTI E QUALCHE GUIDA ANZIANA – Dopo 5 vittorie consecutive in Liga, gli spagnoli sono reduci da una sola vittoria nelle ultime sei, ma hanno inchiodato sullo 0-0 il Real Madrid neo campione del Mondo per club. L’età media della rosa è di 25,4 anni, con alcuni ‘vecchi’ a sostegno del gruppo giovane: da David Silva a a Illaramendi – capitano della squadra ed ex Real Madrid – passando per Diego Rico. Da centrocampo in su, una serie di giovani talenti interessantissimi: Mikel Merino (valutato 50 milioni di euro) a centrocampo, il giapponese Kubo sull’out di destra, Oyarzabal sul lato opposto pronto a sfoderare il suo mancino straordinario, Brais Mendez (10 gol stagionali) e Roberto Navarro – trequartisti di grandissima qualità – Momo Cho in attacco, oltre al ‘nostro’ Umar Sadiq, prelevato dall’Almeria per 20 milioni, a segno all’esordio e poi fermato dall’infortunio al crociato.

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Sassi nello stagno

(di Francesco Oddo Casano) – C’è un principio ispiratore, che ha guidato Mourinho nella sua carriera fino ad oggi: “Ho i miei metodi d’allenamento, altrimenti farei un altro mestiere, ma continuo a pensare che la differenza la facciano i giocatori”. Pratico, efficace, reale. D’altronde Capello o Sacchi non avrebbero raggiunto straordinari successi senza il grande Milan degli invincibili, così anche il visionario Pep Guardiola non sarebbe stato Guardiola senza Messi, Xavi, Iniesta, Puyol etc, e così via.

Il calcio moderno è alimentato però anche da grandi avventure sportive costruite nel tempo non solo sulle qualità individuali. Il Chelsea di Tuchel ha un gruppo storico di grandi giocatori, che faticavano prima ad esprimere le loro potenzialità e sono migliorati contestualmente ad un’idea di gioco chiara, che li ha resi più forti, portandoli sul tetto del mondo. Il Liverpool di Klopp ha giovato di inserimenti di livello assoluto (Alisson, Salah su tutti) ma nel primo triennio non ha raccolto nulla, stappando l’era dei propri successi con una lenta ma inesorabile costruzione, fondata su un’identità riconoscibile. Insomma non esiste una strada univoca per vincere o un modello assoluto da inseguire. Nel suo piccolo l’Atalanta è una realtà vincente: stabilmente in Champions League da anni, in lotta al vertice del campionato, con un bilancio sano e un monte ingaggi risicato. Ma c’è un aspetto che non va mai dimenticato: nessuna squadra al mondo, che ha scritto la storia di questo sport o che ha semplicemente vinto, è entrata in campo non sapendo cosa fare. Non è questione di qualità estetica del gioco, ma di strategia e identità.

La Roma di Mourinho ha un grande limite, che non risiede forse solo nella qualità della rosa (più o meno scadente), nelle scelte dell’allenatore, negli errori commessi sul mercato. Queste sono componenti endemiche di un progetto che fatica a riconoscersi, ma perfezionabili col tempo. La Roma di Mourinho da settimane scende in campo e guardandosi allo specchio, non vede se stessa ma la proiezione di un gruppo statico, stantio, arido calcisticamente. E’ una formazione che trasmette un senso di apatia e impotenza, che la porta a sbagliare sistematicamente l’approccio alle partite, a regalare interi tempi di gioco o a rientrare, come ieri a Reggio Emilia nella ripresa, con i motori completamente spenti.

E’ evidenziabile però una inquietante involuzione. Perchè nella prima parte di questa stagione la Roma aveva un’identità chiara, innestata sul 4-2-3-1 (ma non è un problema di moduli) o quanto meno lavorava strenuamente per definirla. Squadra compatta, aggressiva, che creava un buon numero di palle gol e ogni tanto perdeva equilibrio, sopperendo però alle sue defaillance, con uno spirito ed un entusiasmo diversi dal recente passato. Si lottava, su ogni pallone, come se fosse l’ultimo, si aggrediva con coraggio. Il momento più alto? Roma-Napoli 0-0. Una gara condotta alla pari dai giallorossi contro una formazione lanciatissima in testa alla classifica.

C’erano state già delle cadute fragorose (Verona e Derby) ma la Roma convinceva per la voglia di provare a vincere tutte le partite. Poi alcuni errori arbitrali e alcune pesanti sconfitte nei big match hanno ridimensionato lo spirito, hanno quasi appiattito quell’istinto di sopravvivenza che la squadra mostrava in ogni gara giocata. Bodo è stato il primo momento di rottura: una debacle totale simile ad una coltellata che Mourinho non ha digerito (forse ancora oggi) e che ha portato a distinguere titolari e riserve in maniera netta, con tanto di epurazioni. Lodevole allora il tentativo del lusitano di scuotere la squadra anche tatticamente. Il cambio modulo ha inciso sulle variazioni di sistema. Mkhitaryan portato al centro del campo ‘perchè è il calciatore più intelligente, che sa leggere il gioco in anticipo‘. Zaniolo accentrato per assistere Abraham. Mosse che hanno accentuato un inevitabile principio: difendere e ripartire, in verticale ma che avrebbero dovuto far emergere anche una maggior capacità di controllo delle partite. Bergamo il momento più alto, una gara praticamente perfetta, sporcata però dalle solite disattenzioni difensive, che potevano costare care. Dopo quella sfida Mourinho si è sentito nuovamente tradito. Si aspettava un salto di qualità che non è mai arrivato. Poi la terza coltellata, contro la Juve, forse quella definitiva. In totale dominio del match, la Roma si è sciolta in sette minuti. Una terza coltellata che sembra aver rassegnato anche lo Special One, cioè colui che ha costruito la sua carriera sull’impeto emotivo e sull’ambizione smodata.

La Roma di oggi è un ibrido senza nè capo nè coda. Una squadra che difende male, attacca peggio, che fatica a costruire un’azione manovrata. Un meccanismo che non trova i giusti ingranaggi e che nel riflesso delle dichiarazioni sanno quasi di resa: “Non mi piace la difesa a tre ma è la soluzione migliore per far sentire più a loro agio i giocatori”. Non è questione di moduli, ma di identità. Si può giocare a 3, a 4 o a 5, ma il piano strategico deve essere chiaro. La Roma scende in campo sapendo di non avere la forza di dominare l’incontro e affronta gli avversari in maniera inerziale. Se passa in vantaggio, si siede e spera di controllare la partita, se poi subisce prova arrembaggi confusi nel finale. Non è ancora chiaro dopo 35 partite che Roma vorrebbe Mourinho, di certo quella che stiamo vedendo è lontanissima dalle speranze e le aspettative del tecnico, che lancia sassi nello spogliatoio come in uno stagno ma ciò che essi propagano, alla luce delle mortificanti risposte del gruppo, sono solo leggere onde d’urto, fini a se stesse.


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L’alchimista Mou: con l’Inter sarà una Roma da inventare

Infortuni, covid, squalifiche e polemiche. Il tutto mixato con l’amara delusione per la sesta sconfitta in campionato. Solo nella stagione 2018-19, la Roma aveva fatto peggio nelle prime 15 giornate di campionato (dati Opta). Di certo l’umore di Josè Mourinho sarà scuro come il cielo plumbeo della capitale. “Piove sul bagnato”, starà pensando in queste ore con il suo staff, considerando il numero di assenze a cui dovrà far fronte sabato contro l’Inter.

Out sicuri Spinazzola, Pellegrini, Felix e gli squalificati Abraham e Karsdorp. In dubbio Villar, che potrebbe negativizzarsi, ma comunque non partirebbe dall’inizio. Da verificare El Shaarawy, che ieri ha accusato un fastidio al polpaccio e quasi certamente non ci sarà.

Comprendere alla luce del numero di assenze quali saranno le scelte di Mourinho, è molto complesso. Già a partire dal modulo: se dovesse tornare alla difesa a 4, dinanzi a Rui Partricio, un’ipotesi sarebbe al 99% lo slittamento di Ibanez sull’out di destra, con Mancini-Smalling centrali e il ritorno dall’inizio di Vina. A centrocampo Cristante-Veretout, poi davanti scelte obbligate con Shomurodov centravanti, Mkhitaryan nel ruolo di trequartista centrale e Perez-Zaniolo sugli esterni.

1.12.2021 Bologna vs Roma (Serie A) Sport; Calcio; Nella foto: Delusione (Foto Gino Mancini)

Qualora invece Mourinho scegliesse di mantenere l’attuale assetto, potrebbe confermare la linea a tre composta da Ibanez-Smalling-Mancini, con Vina a sinistra, Zaniolo sulla destra, Cristante-Veretout-Mkhitaryan a centrocampo e davanti Shomurodov-Perez, o al limite la riproposizione di Mayoral al fianco dell’uzbeko.

In entrambi i casi, Mourinho dovrà inventare e trovare le soluzioni giuste per regalare al pubblico giallorosso, di partenza, una squadra in grado di impensierire la corazzata nerazzurra.