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Roma ancora Dybala dipendente

IL GRAFFIO DI MAC (di Fabio Maccheroni) – Possiamo dirlo senza sembrare nostalgici: c’è una Roma con Dybala , in queste condizioni, e un’altra. Vincente o perdente. Un’altra.

Poi possiamo parlare di difesa a tre, quattro, cinque (come quella col Toro), poi possiamo dire tutto. Una Roma pressata, frastornata dall’aggressività del Torino, si prende tre punti straordinari per tenersi aggrappata alla Champions. De Rossi, solleticato dalla resurrezione di Smalling, parte con la vecchia tanto contestata difesa a tre: ma con 5 centrali buoni e 5 esterni quantomeno modesti , ha diritto o no di pensarci? A destra Kristensen che in avvio spreca un affondo spettacolare di Azmoun (Lukaku in panca) e manda sul palo a porta spalancata. Poi solo Torino. Almeno fino a un fallo su Azmoun al 41’ del primo tempo: rigore, Dybala.

Un minuto e il Toro pareggia: cross da sinistra, Mancini e Cristante a vuoto, Zapata di testa tocca non forte ma angolato, Svilar (che poi si riscatterà) piazzato male, fa fatica a recuperare. Risultato giusto. Il Toro non cambia atteggianti, nemmeno la Roma, ma Dybala decide di uscire dalla foto di famiglia: da 25 metri, alla Dybala. Poi ancora in area raccoglie un taglio di Lukaku (appena entrato per Azmoun) e inventa il 3-1.

Adesso parola agli stregoni de ‘il mio gioco’. All’86’ De Rossi ci regala anche Sanches, non certo brillante , nervoso e nemmeno fortunato: la Roma subisce il gol del 3-2 (sfortunata deviazione di Huijsen su cross di Ricci) e dormita su passaggio di Cristante che lancia un pericoloso contropiede. Stava meglio in panca.

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Tre punti d’oro, il resto lo diceva già Mou

IL GRAFFIO DI MAC – (di Fabio Maccheroni) – Anche con la Salernitana 2-1. Contavano soltanto i punti. D’oro in trasferta. Il resto lo avevamo sentito da Mou: scarsi o impauriti, spesso poco intelligenti nel gestire i momenti. Nel primo tempo soliti passaggi indietro, un tiro in porta con una sciagurata punizione di un Pellegrini ancora impalpabile: contro tre conclusioni della Salernitana.

La svolta all’inizio del secondo tempo: Gyomber regala un calcio d’angolo alla Roma, nell’azione Maggiore tocca di mano, rigore e Dybala (invisibile fino a quel momento) trasforma spiazzando il portiere. Arriva anche il raddoppio con un tocco di Pellegrini a un metro dalla porta spalancata, servito da Karsdorp. Partita chiusa? Per niente.

Un paio di tiri che ripropongono anche il problema di un portiere imperfetto, al 70’ il gol di Kastanos di testa, praticamente solo: il resto è sofferenza, risparmiata a Dybala, sostituito da Aouar. Pallone gestito sciaguratamente un po’ da tutti, nel finale De Rossi inserisce addirittura Huijsen per Pellegrini e questo dice tutto. Sintesi? Centrocampo irritante, difesa incerta, attacco inesistente perché Lukaku non ha avuto la possibilità di tirare una volta in porta e Dybala tutto fa tranne quello che gli riesce meglio: l’attaccante.

Del resto se la palla non gli arriva, deve cercarla. Purtroppo cercandola a Salerno è sembrato impalpabile. A sinistra Kristensen ha lasciato praterie. Zalewski, entrato per l’evanescente Elsha è stato irritante. Aouar? Poco e niente al posto di Dybala. Strada lunga e tortuosa , ma si sapeva.

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Per la Champions non mi sembra di aver sentito il fischio finale

IL GRAFFIO DEL MAC – Gli alibi sono per i deboli. I campioni sanno scrollarseli di dosso, dimenticare errori e dolori e soffiare con l’ultimo fiato per spingere all’inferno gli spettri d’un Lecce incredibile. La Roma vince 2-1 e cambia tutto in pochi secondi. Come era già cambiato tutto in pochi secondi, all’avvio. Quando aveva goduto di un jolly: azione spettacolo con Elsha, velo di Lukaku e palla a Dybala, comoda. Il tiro è sballato, ma la palla sfiora la mano di Baschirotto. Il Var conferma, rigore: Lukaku lo calcia malissimo, basso, centrale e Falcone para.

Bruciato il jolly, nessun altro errore ha goduto di altri benefici. A centrocampo, senza Paredes squalificato, piccoli pasticci di Bove, tanto lavoro e poca lucidità anche da Aouar. Elsha, esterno basso sempre proiettato verso l’alto, il più attivo. Dybala a tratti incanta, a tratti spaventa (sembra anche vicino alla resa).

Il Lecce sembra pensare solo a non prenderle per un tempo, poi si accorge che la Roma si sta incartando e D’Aversa trova il premio per una partita quasi perfetta: Almquist raccoglie i frutti di un’azione prepotente di Banda (bruciati Mancini e Llorente) e lascia al palo Ndicka. Mou, che aveva già provato Sanches (avoja a lavora’), mette Zalewski , Azmoun, Belotti… e Kristensen… e Belotti …Dieci minuti 4-1-5 non incredibili perché li abbiamo visti: cross perfetto di Zalewski e testa di Azmoun (questo la porta la vede eccome ), poi Dybala per Lukaku che travolge tutti e sbatte in porta un gol che ridisegna classifica e prospettive.

Mou è il primo a dire che non abbiamo visto il vero Dybala, come non abbiamo ancora visto Sanches. Ma abbiamo visto che la Roma ancora c’è. Non so per quale traguardo. Anzi, non lo sa nessuno. Sappiamo che per dire che qualcosa sia finita, bisogna aspettare il fischio finale. E a vedere il campionato, per la Champions non mi sembra di aver sentito il fischio finale.

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Meritiamo un altro finale

FOCUS RS (di Francesco Oddo Casano) – Trasfigurato in viso, avvelenato per la conduzione arbitrale di Chiffi, amareggiato per la concatenazione di eventi ed episodi negativi che gli stanno strappando dalle mani, forse, la possibilità di scrivere un altro finale di stagione trionfale. Josè Mourinho ieri sera a caldo era il volto di tutti i romanisti. Affranto e orgoglioso, preoccupato e in parte demoralizzato. Un mix di sentimenti difficili da spiegare, ma sfumature evidenti di uno stato d’animo che probabilmente accompagnerà ancora l’allenatore e il gruppo (o ciò che ne resta) in queste ore al rientro nella capitale.

La Roma a Monza ha pareggiato, scivolando in classifica nuovamente al settimo posto (come la sera dell’ultimo derby perso quasi senza lottare, unico neo di un 2023 indomito e caratterialmente sempre al top per i giallorossi). Ma tutto sarebbe in parte rimediabile, se non ci fosse l’enorme scure degli infortuni a frenare il motore di una squadra che a volte si è ingolfato ma finora non si è mai realmente fermato. Un’ecatombe, un lazzaretto, un’emergenza totale, fate vobis, la scelta della definizione più giusta purtroppo non cambia la sostanza. Otto calciatori ai box, l’ultimo della lista Stephan El Shaarawy che ha speso lacrime simili a quelle di Llorente a Bergamo, sintomo di un problema che sa di arrivederci alla prossima stagione. Un numero monstre di stop, mai verificatosi nell’era Mou fino a questo momento.

Ora Mourinho contro l’Inter dovrà indossare contemporaneamente i panni dell’alchimista, del motivatore, dello psicologo, dello stratega, dell’agitatore di folle, sempre che non si abbatta su di lui la mannaia della solerte (ad intermittenza) giustizia sportiva del nostro movimento calcistico, dopo lo sfogo nei confronti di Chiffi. Ma questa volta, nonostante le sue doti para-divinatorie, potrebbe non bastare, perchè per i miracoli effettivi, Josè ancora non sembra attrezzato. Nelle ultime gare lo Special One, oltre a sottolineare l’orgoglio – con tanto di mano sul petto – di essere l’allenatore di questo gruppo che sta gettando, come può, il cuore oltre l’ostacolo, ha indossato il camice bianco, emettendo dei bollettini di guerra al termine delle varie contese. Servirebbe letteralmente una moltiplicazione di uomini, in stile evangelico, per uscire vivi da un momento così.

Ieri le percentuali erano azzerate per sei degli otto calciatori che in questi giorni affollano le stanze dedicate alla fisioterapia di Trigoria. Dybala e Belotti “tra zero e 50%, ma più tendente a zero” Mou dixit. Forse una speranza di riaverli in panchina sabato contro la corazzata di Inzaghi c’è, ma in quali condizioni? E se Mourinho stesse strategicamente preparando al meglio delle attuali possibilità la doppia sfida col Bayer, consapevole (lo ha detto più volte senza mezzi termini) che questa squadra, per come è ridotta, non possa dedicarsi in egual misura alla lotta Champions in campionato e alle gare di coppa? Domande legittime, a cui solo gli eventi daranno risposta.

Sullo sfondo però persiste questo senso di amarezza sempre più crescente, insito nel fatto che per gli sforzi profusi, la straordinaria partecipazione popolare in casa e fuori, la perdurante sfortuna tra pali e infortuni, di cui svariati traumatici e a volte anche frutto di scontri involontari tra compagni di squadra, l’emisfero Roma meriterebbe (meritava) un altro finale, non di sgretolarsi così a pochi metri dal traguardo, qualunque esso sia. E’ profondamente ingiusto, ma purtroppo brutalmente reale.

Foto Fraioli
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Roma, la ‘manna dal cielo’ è la sosta dei Mondiali: urgono riflessioni ma anche soluzioni

EDITORIALE (di Francesco Oddo Casano) – Freddino il clima, cielo autunnale, noia in campo per almeno 70 minuti e timida speranza nel finale, mista ad imprecazioni. L’ultimo pomeriggio vissuto all’Olimpico in questo 2022 è stato a tratti sconfortante, certamente deprimente. Un primo tempo non da zero in pagella, peggio, da ‘boh’: ‘boh’ sui singoli, sulla prestazione, ‘boh’ su come è stata preparata la partita, su come è stata sviluppata. Il nulla cosmico.

Il commento nel finale è stato ‘ari-boh’, perché al di là del sussulto vissuto nei famigerati 20 minuti, non si è visto nulla di diverso rispetto a tante altre occasioni in cui la Roma genera questi mischioni finali, frutto di impeto emotivo ma non di organizzazione. Non è un caso che Dybala entri bene ieri, come Volpato a Verona nel finale, come Zaniolo nella ripresa con il Ludogorets o Abraham a Reggio Emilia. La scossa arriva quasi sempre da fuori, evidentemente perchè qualcosa nell’undici di partenza (eufemismo) non funziona, quasi in maniera sistematica.

19.2.2022 Roma vs Verona (Serie A) Sport; Calcio; Nella foto: Delusione (Foto Gino Mancini)

Sconfortante poi è stato il tenore arrendevole delle dichiarazioni di Mourinho. Al netto degli evidenti limiti di alcuni calciatori, nuovamente certificati dalla mediocre prova offerta contro il Torino e sottolineati a ragione dai fischi del pubblico, si parla solo e costantemente di atteggiamenti, problemi psicologici, richiami alle armi emotive, ma di calcio zero. Zero spiegazioni sul perchè la Roma sia Dybala dipendente, zero spiegazioni sul perchè ad esempio Zalewski, parlando di singoli, è involuto a tal punto da sembrare la peggior versione di Josè Angel, o perchè Zaniolo, quasi nelle vesti di un lottatore di sumo, faccia del corpo a corpo sistematico la sua unica arma. Ma si potrebbe proseguire con Mancini, Cristante, l’epurato Karsdorp e compagnia. Zero spiegazioni (non può bastare l’addio di Mkhitaryan) sul perchè la Roma lo scorso anno aveva trovato una sua identità, esprimendo anche in diversi casi un calcio gradevole oltre che efficace, oggi si sia smarrita totalmente. La Roma per svariate fasi delle ultime gare non ha giocato a calcio, ma praticato un altro sport difficile anche da definire: a tratti sembra rugby.

Ora, che ci siano delle criticità strutturali, che periodicamente con forza riemergono è ormai un dato assodato. L’errore di valutazione di società e tecnico è stato forse quello di credere che, aggiungendo qualità, si potessero celare i difetti cronici di alcuni calciatori, ma col senno di poi è facile. I fatti dicono questo ma raccontano anche di una squadra svuotata di qualsiasi significato tattico, svuotata di idee, che rumina calcio quasi pascolando in attesa della manna dal cielo, che a volte arriva a volte purtroppo no.

La sosta è ora la manna dal cielo della Roma, schiacciata nelle sue difficoltà e anche nella sua presunzione. Serve il coraggio delle idee, delle decisioni risolute, serve la capacità reale di fare l’autocritica richiamata da Mourinho e un reset quasi totale di ogni meccanismo, perchè dopo un anno e mezzo vedere ridotta così la Roma, vittoriosa a Tirana sei mesi fa, è mortificante ma soprattutto non spiegabile solo con la dipendenza da questo o quel calciatore.

Conferenza Stampa : Josè Mourinho e Rui Patricio
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Spirito ‘Mourinhiano’, la Furia inglese, il Rebus in mediana: 3 pensieri su… Roma Fiorentina

3 PENSIERI SU… (di Checco Oddo Casano) – La Roma non è ancora ‘Special’ ma l’anima di Mourinho già si vede. Lo ha sottolineato con onestà e chiarezza il lusitano dopo la battaglia contro i viola. Lo si è percepito e notato nel corso di un match che ha contrassegnato il ritorno ufficiale del pubblico dopo il lockdown di un anno e mezzo fa.

SPIRITO – Un dato è certo e non potrà che consolidarsi: la squadra combatte, rincorre, vince contrasti, non si ferma dinanzi alle prime difficoltà e dà la sensazione di saper reagire alle avversità. Certo, è presto per stilare un bilancio e soprattutto pretendere che determinati meccanismi vadano già a memoria, ma paradossalmente questo apprendistato con il ‘Maestro di Setubal’, iniziato una cinquantina di giorni fa, per la Roma può essere un vantaggio. Perché il percorso per diventare Special passa attraverso miglioramenti sensibili sul piano del gioco, della gestione dei risultati, dalla capacità di non perdere la testa, di non commettere ingenuità con o senza palla. Oltre alla necessità di migliorare una condizione fisica generale che non può che crescere di partita in partita. Il tutto strettamente legato alla valorizzazione di alcuni singoli.

FURIA INGLESE – L’impatto di Tammy Abraham con l’emisfero giallorosso è stato a tratti devastante e si percepiva già dall’elettricità che scaturiva dai primi applausi – ovviamente corrisposti – che gli sono stati rivolti dai tifosi che piano piano stavano riprendendo possesso della loro casa. C’è un’immagine che forse già descrive il valore intrinseco di questo investimento: al minuto 9’16” dopo aver conquistato un calcio d’angolo, Abraham si gira verso i compagni e comincia ad incitarli. Continuerà a farlo per oltre 60 minuti, protestando con gli arbitri, rincorrendo ogni portatore di palla che si trova nella sua zona di competenza. Due assist, un’espulsione procurata, una traversa. E’ mancata solo la ciliegina sulla torta, una rete all’esordio, magari sotto la Sud e solamente sfiorata. Arriverà.

‘LAVORI IN CORSO’ – Il centrocampo resta il vero rebus: Cristante e Veretout sono i titolari, Pellegrini di fatto in un ruolo quasi di mezzala a tutto campo, ricama e cuce i reparti, ma numericamente e qualitativamente non basta. Il francese dopo il grave infortunio muscolare che lo ha appiedato di fatto per oltre 3 mesi, ha riacceso i motori presentandosi con un’altra doppietta, decisiva, figlia di una posizione leggermente più avanzata nella ripresa rispetto a quanto fatto nel primo tempo. A briglie sciolte Jordan diventa un ‘animale’ difficile da contenere. Villar e Diawara per motivi diversi però non hanno convinto Mourinho, Darboe e Bove sono ovviamente ancora acerbi per indossare i galloni dei titolari. La speranza è che Pinto riesca a centrare un ultimo colpo in questa settimana finale di trattative.