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Ds Roma, il nome a sorpresa può essere Vivell: il profilo

FOCUS RS (di Francesco Oddo Casano) – Tra Massara, Modesto, Ribalta e altri nomi nostrani per la direzione sportiva della Roma, a spuntarla potrebbe essere un nome a sorpresa. Questa mattina la Repubblica segnala che i Friedkin avrebbero affidato a Charles Gould, consigliere personale del presidente e cacciatore di teste, il compito di individuare il profilo giusto e in cima alla lista c’è il nome di Cristopher Vivell.

CHI E’ – Classe 86′, nato a Karlsruhe in Germania, dopo una breve e sfortunata carriera da calciatore di categoria, ancora relativamente giovane, Vivell ha capito che il suo futuro nel calcio non fosse in mezzo al campo, ma probabilmente a margine dello stesso. Preso il patentino da allenatore, ha iniziato a collaborare in terra tedesca all’Hoffheinam, partendo veramente dal basso, come semplice match analyst.

Poi una scalata gerarchica che in tredici anni lo ha portato fino al ruolo di ‘Globally football’, cioè General manager dell’area sportiva al Chelsea (come sottolineato dal The Guardian qualche mese fa). Dopo un anno da osservatore è stato assunto nella galassia Red Bull, prima al Salisburgo poi al Lipsia. E qui ha completato decisamente il suo percorso professionale, prima come direttore dell’area scouting (le scoperte di Manè e Haaland le perle) poi da direttore tecnico e quindi uomo mercato del Lipsia.

Valorizzazione del settore giovanile, metodologie di lavoro e scoperta di nuovi talenti le linee guida che potrebbero spingerlo verso Trigoria, considerato che a causa delle attuali restrizioni economiche, è altamente probabile che i Friedkin abbandonino la strada dell’instant team per tornare all’originaria visione, di un calcio più giovane e sostenibile.

Il 21 dicembre dello scorso anno è stato assunto dal Chelsea, come direttore tecnico dell’area sportiva, ma dopo appena sei mesi ha lasciato i Blues. La motivazione risiede nel fatto che il club inglese, immerso in una vera e propria crisi di identità e di risultati dopo il passaggio di mano da Abrahamovic ad un consorzio di imprenditori, vive di una serie di contraddizioni in termini: tanti proprietari, tanti consiglieri, tanti dirigenti che tentano di scalare posizioni per acquisire poteri.

Nel momento in cui Pochettino è stato scelto da altre due figure dirigenziali attualmente influenti nel board del Chelsea (Joe Shields e Kyle Macaulay), Vivell ha capito che non avrebbe più avuto margini di manovra. Il dirigente tedesco spingeva per l’arrivo di Nagelsmann ma non è stato ascoltato.

E pensare che si era presentato con grande entusiasmo a Londra: “Il Chelsea sta costruendo il progetto più entusiasmante nel calcio globale e sono estremamente orgoglioso di unirmi al club. C’è così tanto potenziale affinché il club continui ad avere successo, svilupparsi e crescere. Sotto la nuova proprietà, Graham Potter e il team sportivo più ampio, c’è una filosofia chiara e sostenibile sostenuta dall’analisi delle prestazioni, dai dati e dall’innovazione, e non vedo l’ora di svolgere un ruolo in questo”.

In un passaggio invece di un’altra intervista rilasciata in Germania, Vivell spiega il suo modus operandi che si fonda su due principi di base: creare una squadra di lavoro che operi a 360 gradi su scouting, mercato e gestione delle risorse; sviluppare calciatori, acquisendo tutte le informazioni utili su di loro. “Mentre un allenatore è giustamente concentrato sul lavoro quotidiano, un direttore tecnico è costretto a pensare o pensa a tre o quattro fasi di trasferimento in anticipo: che talenti ci sono sul mercato? Come si sta sviluppando il calcio in generale? Come dovrebbe svilupparsi il club?”.

Il dato che emerge è che Vivell non è un direttore sportivo per come lo conosciamo (o interpretiamo) noi in Italia. E’ un giovane dirigente con già una grande esperienza internazionale sul campo, (al contrario di quello che era il background di Pinto quando arrivò nella capitale), che dovrebbe costruire una nuova area tecnica, con diversi collaboratori ma che avrebbe bisogno di un supporto nel rapporto con la squadra e l’allenatore, come un ex giocatore rappresentativo agli occhi della piazza e dei tesserati. Un profilo assimilabile a Moncada del Milan, più che a quello che è stato ed è ancora oggi Walter Sabatini, abituato a lavorare quasi esclusivamente da solo.