La galassia Red Bull nel calcio – AUDIO

FOCUS RS (di Francesco Oddo Casano) – Lo sport per accrescere il fatturato dell’azienda madre e creare un modello invidiato in tutta Europa. E’ questa la filosofia imprenditoriale che ha spinto Dietrich Mateschitz, businessman di origini austriache (scomparso alcuni mesi fa all’età di 78 anni) e cofondatore della Red Bull a colonizzare negli ultimi 25 anni diverse discipline sportive, investendo centinaia di milioni di euro e accrescendo il valore sul mercato della famosa bevanda energetica. “E’ proprio il caso di dirlo: abbiamo messo le ali anche al calcio”, affermava scherzando, ma neanche troppo, un dirigente del Salisburgo anni fa.

LO SBARCO NELLO SPORT – Prima le scuderie in F1 e in MotoGP, poi due squadre di Hookey, in ultimo è arrivato anche il calcio. Ovviamente partendo da Salisburgo, terreno d’origine e antica passione del patron della Red Bull, per passare poi al Lipsia, alla franchigia di New York e recentemente al Bragantino in Brasile. Il modello gestionale è sempre lo stesso: risanamento, investimenti sulle strutture, metodologie di lavoro ferree e valorizzazione del prodotto, che nel calcio sono i giocatori giovani da crescere e vendere, senza dimenticare i successi sul campo. L’azienda ha un fatturato di 7,80 miliardi e il pallone ne è entrato a far parte solo nel 2005, dopo più di 25 anni di intuizioni vincenti e innovative.

“Mateschitz? È un grande imprenditore al quale piace vincere”. Così Giovanni Trapattoni, che nel 2007, dopo avere vinto a Salisburgo il decimo campionato della sua vita (sette in Italia, uno in Germania, uno in Portogallo e uno appunto in Austria), spiegava ai microfoni di Repubblica la bontà del progetto sportivo del club austriaco. Ma una delle armi vincenti è sicuramente l’agglomerato di squadre e di conseguenza le varie sinergie di mercato che sono state create in questi anni, attirando anche più di qualche polemica extracampo.

MODELLO GESTIONALE E STRATEGIE – Due uomini su tutti: Freud, ds del Salisburgo e per tanti anni Rangnick a Lipsia (per settimane cercato anche da Roma e Milan negli scorsi mesi). Sono i dirigenti che hanno interpretato al meglio la filosofia societaria, formando centinaia di collaboratori. Il modello gestionale è chiarissimo per tutti: un vastissimo settore di scout ricerca giovanissimi calciatori in tutto il mondo.

Sono 400 mila i giocatori analizzati con una serie di filtri che valutano ogni singolo aspetto. L’enorme database viene messo a disposizione delle direzioni sportive che sulla base di una struttura piramidale devono solo selezionare i profili più adatti in base alle necessità tecnico-tattiche del momento o alle priorità sportive. Dall’analisi dei dati si arriva ad una scrematura e da lì l’ingaggio degli stessi a basso costo.

Il secondo fondamentale step è la formazione: i ragazzi vengono inseriti in un contesto che li valorizza e li cresce sul piano tecnico-tattico, ma anche umano. Sport e istruzione, testa e carattere. In genere si parte da Salisburgo, si vince e si partecipa anche alle coppe europee stabilmente, poi si passa a Lipsia per consacrarsi e poi via in una grande squadra. Cinque su dieci tra le cessioni più costose nella storia del Salisburgo sono andate poi al Lipsia. Keita, Sesko, Szoboszlai, Haidara e Upamecano. Tre di loro sono ancora lì. Ci sono stati anche i casi Haaland e Manè, grandi giocatori che partiti da Salisburgo hanno poi spiccato il volo. Nel loro caso senza bisogno di passare al Lipsia. Per riassumere: crescita, vittorie e plusvalenze, la specialità della casa: negli ultimi 5 anni oltre 250 milioni di euro di plusvalenze, top 5 a livello europeo. “Vendere i giocatori è un male solo quando non puoi rimpiazzarli adeguatamente” disse Cristopher Vivell, direttore dell’Area Scouting del Red Bull Salzburg dal 2015.

Quando nel 2005 la Red Bull acquista il Salisburgo, il club austriaco aveva vinto solo tre titoli nazionali (con una finale di Coppa Uefa persa nel 94′). A distanza di 17 anni sono 13 i titoli nazionali vinti e 9 le coppe d’Austria. Un dominio assoluto che ha permesso alla squadra di assestarsi ad un buon livello anche nelle coppe europee tra partecipazioni a Champions ed Europa League: il miglior risultato dell’era Red Bull in questo senso è la semifinale d’Europa League persa contro il Marsiglia ai supplementari nel 2018. Successi sul campo e sguardo alle future plusvalenze: secondo i dati di transfermarkt oggi la rosa del Salisburgo vale oltre 200 milioni di euro e l’età media è realmente impressionante: 21,3 anni.

CONTESTAZIONI E FALLIMENTI – Come tutte le rivoluzioni, non potevano mancare i contestatori. Quando la Red Bull è sbarcata a Salisburgo, ha raccolto in eredità un club che ha vissuto per anni tante peripezie sul piano finanziario e aveva cambiato nome già tre volte – Gerngroß Salzburg (1973-1976), Sparkasse Salzburg (1976-78), Casino Salzburg (1978-1997) e Wüstenrot Salzburg (dal 1997) – un contesto dunque ideale per il c.d. rebranding, cioè la modifica del nome della squadra, con annesso restyling totale del marchio. E’ comparsa ovviamente la scritta Red Bulla davanti al nome della squadra e nel logo del club due tori rossi che incornano un pallone in un cerchio giallo, oltre alla variazione anche dei colori sociali (dal viola al biancorosso). Questo profondo stravolgimento ha spinto una parte della tifoseria austriaca a contestare aspramente la nuova proprietà a tal punto da fondare un club parallelo (come avvenuto a Manchester, sponda United) che oggi milita in terza divisione. Nel 2008 la Red Bull ha investito anche in Ghana, creando un avamposto anche nel paese africano, con un investimento iniziale di 5.5 milioni ma a livello tecnico non sono stati scovati al momento straordinari talenti.

Come tutte le dinamiche sportive di un certo impatto economico e di un certo successo sul campo, sono emersi però negli ultimi anni alcuni effetti collaterali. Oltre alle contestazioni subite dal Lipsia in Germania, dove da anni la proprietà Red Bull è avversata dalle tifoserie di tutto il paese e anche da alcuni club, nel 2018 è divampata anche la polemica internazionale, dipesa della possibilità che Lipsia e Salisburgo si potessero affrontare in Champions League. Il regolamento sulla carta infatti prevede che due team del medesimo proprietario non possono competere nella stessa manifestazione. Una vicenda che ha creato più di qualche imbarazzo in sede UEFA ma che non ha scalfito la massima istituzione continentale. Sul tema in questione è arrivato infatti il parere favorevole poichè secondo l’UEFA solo il Lipsia è riconducibile direttamente all’azienda di energy drink mentre per il Salisburgo si configura un impegno sotto forma di sponsorizzazione. La realtà è diversa, in quanto le due squadre sono effettivamente di proprietà del colosso austriaco, ma con formali discendenze diverse. Un precedente rischioso, che l’UEFA ha liquidato forse con eccessiva celerità.